G. BenedettiNeuropsicologiaFeltrinelli, Milano 1972 |
Capitolo terzoNeuropsicologia e psicoanalisiNella storia della scienza devono esserci molte situazioni parallele, nelle quali l'interesse per un'area d'osservazione stimola l'esplorazione di un'altra; tuttavia, il pieno sviluppo della seconda area verrebbe svisato se ci si limitasse ai modelli teorici della prima area. Snyder I) Ha la psicoanalisi una dimensione biologica? L'importanza delle osservazioni psicoanalitiche per l'interpretazione dei dati neuropsicologici viene oggi ammessa anche da parte di studiosi di orientamento biologico. Così Heath: "Noi notiamo, da un altro punto di vista, che importanti dati concernenti il comportamento umano sono stati ottenuti mediante l'utilizzazione di tecniche introspettive... I dati psicoanalitici fanno pensare che se potessero essere sviluppate delle misure effettive ed immediate nel trattare queste emozioni quando esse diventano patologiche, si potrebbero compiere immensi passi avanti nella cura dei disordini del comportamento negli individui e, infine, nei gruppi. Le erronee esperienze d'apprendimento creano delle emergenze inappropriate, inducendo così gli individui ad adattarsi al presente e ad anticipare il futuro in modo sbagliato o neurotico ". Ma tali frasi rimarranno un'affermazione generica, se non si attua uno studio critico, di cui vogliamo qui solo far emergere alcune direzioni fondamentali, che si rivolga alle basi stesse della relazione fra psicoanalisi e biologia, e che in avvenire esamini sistematicamente sia le implicazioni delle ricerche neuropsicologiche per la psicoanalisi, sia quelle delle ricerche psicoanalitiche per la neuropsicologia. Solo così diverrà sempre maggiore la percezione di rapporti che, una volta afferrati, potranno poi essere verificati ed elaborati dall'analisi scientifica. A questo proposito vale soprattutto l'assioma che la conoscenza umana non può essere semplicemente un processo additivo. Un punto fondamentale che separa la psicoanalisi dalla neuropsicologia è il fatto che la prima si dedica essenzialmente alla vita soggettiva dell'uomo, mentre la seconda rientra nel campo delle scienze biologiche, che misurano il fenomeno psichico soprattutto dal di fuori, cioè come comportamento sia dell'intero organismo, sia della singola unità mentale e dei suoi aggregati funzionali. Ma è proprio questa linea di separazione che, lungi dal creare i confini di un sicuro reame neuropsicologico, costituisce l'asse del suo problema principale. "Non sappiamo come è possibile" scrive Penfield "che l'attività degli elementi neurali si trasformi in pensiero, e come questo pensiero venga trasformato nell'attività neurale dell'azione volontaria cosciente. Qui risiede il problema fondamentale. Qui psicologia e fisiologia stanno faccia a faccia." Questo stesso problema vale naturalmente anche per la psicoanalisi, per la psicologia sperimentale, per la psichiatria e, in fondo, per tutta la filosofìa Rogers, Heidegger, Langer, Polanyi, Scher, Lyons e tanti altri sottolineano l'inseparabilità dell'esistenza soggettiva dai dati e dalla natura del suo universo. Il problema è antico; e cosi formulato rischia di essere un appello ad una confessione di unità, che una volta stabilita, rimane una mera frase. La sterilità di un mero atto confessionale emerge chiaramente dal sospiro scettico del filosofo Merleau-Ponty (2212): "L'intero mondo della scienza è costruito sulla vita, eppure la scienza non è stata per nulla capace di illuminare la natura dell'esperienza soggettiva." Ciò che urge è qui il lavoro di dettaglio, il singolo reperto, un insieme di dati particolareggiati che vanno raccolti tenendo ben presente che nulla è più falso dell'ignorare come "non scientifica" quella capacità puramente umana che è stata descritta come conoscenza intuitiva. Al contrario, la conoscenza intuitiva precede talora di molto quel che le abilità tecniche poi verificano o meno, e queste ultime da sole non ci darebbero che una collezione di dati. Poiché in psicoanalisi non esiste, come nella psicologia sperimentale dell'animale, la possibilità di un ampio studio dei fenomeni neurali che sottendono il comportamento, un indirizzo metodologico tendente a visualizzare i rapporti fra lo studio psicoanalitico del comportamento umano e la ricerca neuropsicologica può consistere nell'analizzare le componenti funzionali ed organizzatrici del comportamento, le sue componenti molari, paragonandole poi con i sistemi neurali che mostrano proprietà simili, onde stabilire in che misura si può porre una correlazione. La dicotomia fra mondo soggettivo e mondo obiettivo, sentita come limite dalla neuropsicologia e dalla psicologia sperimentale, da un canto, e dalla filosofia, dall'altro, è divenuta però un dramma solo per la psicoanalisi. Per essa questo non costituisce solo un limite, ma l'interrogativo centrale e perenne di come tradurre un linguaggio comunicatoci dall'esperienza soggettiva umana in parametri di una scienza naturale della psiche. Se Freud fosse stato, originariamente, un sociologo anziché un medico, questo problema non sarebbe forse stato per lui e i successivi cultori della disciplina tanto tormentoso; ma la psicoanalisi non sarebbe allora stata psicoanalisi. Poiché nulla rappresenta tanto intimamente la natura della psicoanalisi quanto il fatto di essere una psicoterapia, di essersi sviluppata nella clinica presso l'individuo psichicamente sofferente, di essere cioè una scienza medica. Prima ancora di esaminare quali furono i postulati biologici della psicoanalisi, come essi vadano oggi corretti, in vista dello sviluppo della moderna neuropsicologia, e quali di questi sviluppi sono stati invece preconizzati dalla psicoanalisi, o di questa rappresentano una conferma, vogliamo rivolgerci ad un problema ancor più fondamentale; quello che riguarda la comprensione che della sua dimensione biologica deve avere la psicoanalisi. Sappiamo come Freud sia partito nel suo pensiero da un modello biologico, che, già visibile nel primo schema della psicoanalisi, ci è noto nella sua completezza solo dal 1953, data della pubblicazione delle lettere di Freud a Fliess, che contengono il suo cosiddetto Progetto per una psicologia scientifica. Il fatto che tale progetto sia apparso postumo, quindici anni dopo la conclusione di un'opera scientifica vastissima, va spiegato con la profonda ambivalenza di Freud verso un modello che, per essere biologico, ha sempre attratto l'interesse di questo autore, venuto essenzialmente dalla biologia, e a cui egli nei suoi scritti è sempre ritornato, ma dei cui aspetti puramente speculativi e delle cui insufficienze esplicative egli era perfettamente cosciente. E così dopo qualche anno di tormentato travaglio, Freud lasciava infine in un cassetto il suo manoscritto, e si dava alla stesura di uno scritto puramente psicologico, la famosa Interpretazione dei sogni. Ma questa svolta, se anche felice per lo sviluppo della ricerca, è rimasta associata al fatto che Freud in seguito, in molti suoi scritti, è passato attraverso una continua altalena fra un'esposizione puramente psicologica ed una traduzione delle osservazioni psicologiche in ipotesi biologiche, senza talora rendersi ben conto dello scarto dei parametri usati, e senza essere prima arrivato, come mostra la sua insoddisfazione per il Progetto, ad una chiara coscienza dei rapporti. Formuliamo adesso il problema che vogliamo trattare nei seguenti interrogativi: a) E la teoria psicoanalitica una teoria puramente psicologica? Assumere ciò significa dire che essa ha una struttura simile alla sociologia, non biologica. Tuttavia, anche facendo proprio questo punto di vista, sono possibili due varianti della teoria: l'una è quella di descrivere le entità mentali della psicoanalisi, ad esempio l'Io, l'Es, il Superio, come delle realtà, come delle suddivisioni attuali di un "apparato" mentale attuale; l'altra variante è quella "metaforica," che consiste nell'affermare che i termini non hanno alcun punto attuale di riferimento; essi costituirebbero allora solo un'ipotesi strutturale di processi d'interazione. Nell'ambito di questi, i concetti di Es, Io, Superio, andrebbero intesi anzitutto come modelli di determinate categorie di funzione, motivazionali, di controllo e di difesa, a diversi livelli gerarchici. Così, il concetto di Io viene postulato come il principio sintetico da cui deriva la coerenza del comportamento. Bisognerebbe interpretare la rappresentazione di Es, Io, Superio, come "Provincie mentali" contigue nel senso di uno spazio astratto e non fisico. La situazione fa pensare a quella della fisica alcuni anni fa, quando Schlick ed altri filosofi sostenevano che non bisogna prendere le ipotesi fisiche di alto livello (come ad esempio il modello atomico di Bohr) in senso letterale, essendo verificabili solo le ipotesi di basso livello, da cui le prime vengono dedotte, senza la possibilità di una verifica diretta. Recentemente, questo concetto nell'ambito della fisica è stato superato, in quanto oggi si afferma che bisogna interpretare in senso letterale anche le ipotesi di alto livello, in quanto si riferiscono a processi attualmente esistenti. Ma in psicoanalisi cosa significa voler dare per esempio alla "libido," o al "Superio" un valore di realtà psichica che non si limiti alla descrizione di fatti soggettivi, di modi di porsi in rapporto con sé e gli altri, e d'altro canto rifiuti il confronto con i parametri della ricerca di neurofisiologia e di psicologia sperimentale? Come ciò sarebbe errato lo dimostrano certe disquisizioni psicoanalitiche, in cui si parla di Superio, libido, etc. come di classi di oggetti, fra cui vengono stabiliti rapporti plausibili, che non è tuttavia mai possibile verificare (e quindi eventualmente correggere), poiché la verifica viene invece cercata dagli autori nella capacità di siffatti concetti a spiegare certi comportamenti, che però servono di prova alla teoria solo nella misura in cui accettano di essere da essa interpretati. Ma non tutti i concetti psicoanalitici soffrono di questa qualità, di essere cioè "ipotesi metafisiche" di reali esperienze soggettive. Vi sono concetti che descrivono tali esperienze in termini di "strutture di comportamento," verificabili in parte perfino nella scala animale. Concetti reali, e non metaforici, sono ad esempio quelli di conflitto, di difesa, di complesso, ed altri ancora. Così, classico è in psicoanalisi il concetto di difesa. Perché si stabilisca una difesa, come ad esempio la negazione di un aspetto della realtà, è necessario il riconoscimento di percezioni complesse, che portano con sé una valenza di pericolo, di minaccia, e quindi un processo d'inibizione per cui tale riconoscimento venga modificato, attenuato. Altre difese sono caratterizzate da modificazioni di movimenti intenzionali, se il motivo, definito da Freud come processo intenzionale che lega l'istinto con l'oggetto, viene segnalato come pericoloso. Nel primo caso i processi funzionali suggeriscono meccanismi che a loro volta modulino gli impulsi sensoriali che stanno alla base della percezione. Nel secondo caso, la modulazione e l'inibizione dell'attività motoria avvengono all'inizio di essa: vedi esperienze sull'animale di Delgado, di Hunter e Jasper, di Lilly, di Ward e Lequire. Dicendo che la difesa è una struttura, non ci si riferisce all'anatomia, ma alle regolazioni di percezione e di motilità. b) È possibile un'interpretazione neuropsicologica della psicoanalisi? Assumere questo significa dire che le affermazioni psicoanalitiche dovrebbero essere verificabili sia sul piano sociopsicologico come anche sul piano neurofisiologico. La psicoanalisi sarebbe, in questo senso, in parte l'espressione metaforica di un modello neurofisiologico, o, secondo l'espressione di Rubinstein un modello "protoneurofisiologico." Ma come è possibile tradurre termini di alto livello, che descrivono fenomeni esistenziali complessi, in termini neurofisiologici? O come è possibile definire l'Io, l'Es, il Superio in termini neuroanatomici? Vi sono psicoanalisti che pensano che sia solo questione di tempo. Andiamo verso un'epoca in cui la ricerca neuropsicologica si svilupperà fino ad un punto tale, da permetterci di descrivere in termini neuropsicologici ciò che attualmente è possibile fare solo sul livello fenomenologico. Questo genere di argomentazione non tiene tuttavia conto di due cose. In primo luogo dell'osservazione che, nel linguaggio fisiologico, possiamo associare eventi neurofisiologici fra loro, ma non porci al di là della dicotomia di livello che esiste ad esempio fra una descrizione molare ed una descrizione molecolare. Il comportamento deve esser descritto in una terminologia che per quanto idealmente traducibile nel linguaggio della neurofisiologia, deve tuttavia esser strutturata in una scala diversa e in parte esser priva di un significato neurofisiologico concreto. La formulazione psicoanalitica e il suo correlato neurofisiologico possono descrivere lo stesso evento, ma in una scala diversa di osservazione. Essi non sono dei sinonimi, appartengono a diversi linguaggi, e non possono esser sostituiti l'uno con l'altro nella stessa frase. Nella scala psicoanalitica ci occupiamo di esseri umani e del loro modo di essere in un mondo, non solo di cervelli e di apparati mentali. I due linguaggi stanno in un profondo rapporto, che non è però quello di una semplice traducibilità. Il secondo fatto da tenere presente è che la teoria psicoanalitica attuale non è derivata solo dall'osservazione clinica. Freud lo sapeva perfettamente; basta ricordare la sua affermazione che il concetto psicoanalitico di istinto è derivato in parte dall'osservazione clinica e in parte da altre fonti. Queste altre fonti appaiono oggi allo studioso critico quali interpolazioni di postulati essenzialmente derivati da un'inesatta interpretazione biologica dei fenomeni mentali. La neurobiologia di Joannes Müller e di Exner si è cristallizzata in molti concetti psicoanalitici, nei quali si trovano, accanto a ipotesi biologiche esatte e successivamente confermate dalla neuropsicologia, formulazioni che oggi sono assolutamente insostenibili. Prendiamo ad esempio il concetto di "inerzia neuronica". Freud la definisce in un secondo momento come una tendenza inerente al sistema nervoso a mantenere il suo stato di eccitazione al più basso livello possibile. Poiché gli stimoli somatici tendono continuamente ad innalzare il livello di eccitazione, il sistema ristabilisce l'equilibrio con movimenti di scarica. L'insieme di questi due avvenimenti, d'eccitazione e di scarica, costituirebbe l'essenza della vita mentale. Ora, questi argomenti non hanno un loro corrispondente nell'attuale pensiero fisiologico. Lo stesso termine di "energia psichica" non è traducibile nei parametri delle concezioni odierne, e tanto meno la direzionalità assunta allora da Freud. "Nonostante ciò" afferma lo psicoanalista Rubinstein "gli studiosi psicoanalitici parlano spesso di una scarica di energia psichica in innervazioni somatiche, usando le parole 'scarica' ed 'energia' come se esse avessero lo stesso significato nel contesto fisiologico e in quello psicologico, come in realtà non è affatto. È urgente, egli aggiunge, modificare questa situazione, riducendo dapprima la psicoanalisi ad una teoria che si limiti a rilevare le relazioni strutturali osservabili che intercorrono fra gli eventi psichici, eliminando i suoi postulati latenti, derivati dalle speculazioni teoriche di allora, e preservando i significati psicologici empiricamente verificabili. Il secondo gradino sarà poi quello di costruire su questa base dei nuovi termini teorici adducendo come postulati concezioni neuropsicologiche odierne, ossia sperimentali. II) I postulati biologici della psicoanalisi classica e la loro correzione alla luce della neuropsicologia odierna Veniamo così al secondo paragrafo della nostra trattazione: quali sono stati i postulati biologici "classici," impliciti o espliciti, della psiconanalisi? Per ben comprenderli non basta leggere il Progetto di Freud, ma è necessario farne un'esegesi nell'ambito della situazione scientifica di quel tempo. Ricordiamo anzitutto i maestri di Freud, tutti di orientamento biologico e positivista, alle cui scuola si è formata la mentalità naturalista del giovane allievo: Meynert, Brücke, Exner, a loro volta allievi del grande Johannes Müller. Una concezione di Brücke era quella che non esistesse una attività spontanea del cervello, il cui funzionamento seguiva in quest'ordine d'idee il modello dell'arco riflesso: "I movimenti volontari... vengon pure originati da impulsi centripeti; tuttavia da essi la conduzione attraversa parti della corteccia che servono la coscienza, le idee, la volontà". Come Holt giustamente commenta, il risultato era una concezione implicita dell'intero sistema nervoso quale strumento "passivo" che rimane in uno stato di riposo se non è stimolato, e che tende a difendersi dalle energie provenienti a esso dall'ambiente (scaricandole come movimento). Simile il pensiero di Meynert, altro maestro di Freud. È su questa falsariga che dobbiamo comprendere quello che Freud chiamava il principio di "inerzia neuronica," secondo cui i neuroni tendono anzitutto a liberarsi di quantità di energia; è qui che si innesta ciò che Freud chiamava anche il "principio di costanza," secondo il quale il sistema nervoso tende anzitutto a difendere il suo livello energetico dal contatto con l'ambiente esterno e interno. E qui egli sviluppa il suo concetto sulla natura del piacere e del dolore: il secondo è il fatto primario, l'aumento di stimolazione e di tensione, mentre il primo consiste solo nel ritorno (mediante una scarica della tensione) allo stato originario. ("Poiché abbiamo una certa conoscenza della tendenza nella vita psichica ad evitare il dolore, tendiamo ad identificare tale tendenza con quella primaria verso l'inerzia". E ancora: "I fatti che ci hanno motivato a credere alla dominanza del principio del piacere nella vita psichica trovano la loro espressive nell'ipotesi che l'apparato psichico cerca di mantenere la quantità attuale di eccitazione sul livello più basso possibile, o almeno di mantenerla costante... il principio del piacere risulta dal principio della costanza". Gill ha sostenuto in modo convincente che un errore della teoria psicoanalitica è stato quello della sua eccessiva preoccupazione per considerazioni economiche e dinamiche unita ad una scarsezza di considerazioni strutturali; ciò che egli denomina "riduzionismo alla motivazione.") È noto come, secondo le osservazioni di Freud, nei neonati, nel sogno, e in taluni stati mentali patologici (e sempre in assenza della percezione completa della realtà), i processi psichici obbediscono al principio fondamentale di arrecare piacere ed evitare dolore. Sembra che il primo scopo della vita sia la soddisfazione di tensioni biologiche. L'accettazione della realtà, del limite come premessa di autoidentità, la capacità di posporre nel tempo soddisfazioni istintive per una loro soddisfazione più completa, o per la realizzazione di altri bisogni, fan parte di un'attività psichica posteriore, sicuramente associata ad una coscienza dell'Io. Nell'ambito dei processi psichici Freud ha descritto le attività mentali strutturate secondo il principio del piacere, e da lui studiate soprattutto sulla base dei sogni. Il principio del piacere viene dedotto da Freud dall'osservazione fenomenologica. Esso viene poi spiegato, speculativamente, assumendo che un aumento (in parte ritmico, endogeno, e in parte aritmico, da informazioni periferiche, sensoriali) della tensione biologica (ad es. senso della fame, tensione sessuale) provoca pena e tende a scaricarsi onde ristabilire l'equilibrio omeostatico. La scarica della tensione sarebbe associata all'esperienza del piacere. Il principio del piacere è dunque spiegato sulla base di un'ubiquità della tensione biologica, che non viene differenziata concettualmente e si traduce nell'immagine di una "libido" e di una semplicità della struttura biologica responsabile della sensazione di pena o di piacere: la stessa struttura risponderebbe: a) all'aumento della tensione con fenomeni correlati sul piano soggettivo alla sensazione di sconforto, pena, o addirittura ansia; b) ad una rapida distensione (orgasmo) con fenomeni riguardanti il senso del piacere. Questa l'ipotesi. Ora, la ricerca sperimentale attuale tende a negare sia l'ubiquità sia anche la semplicità della struttura biologica coinvolta in questi fenomeni. Fondamentali sono a questo proposito le ricerche di Olds "sugli animali, estese poi all'uomo e da noi già riassunte. Tali esperimenti non negano, in linea di principio, la possibilità che le strutture nervose, topograficamente più diffuse, siano attive negli stati soggettivi di piacere o di dolore. Parlano, tuttavia, per una loro circoscrizione spaziale. Inoltre, mentre nella teoria psicoanalitica una stessa struttura starebbe alla base, con due stati diversi, della duplicità dello stato soggettivo, i dati di Olds depongono per una dicotomia della struttura nervosa in questione: i centri del piacere sono separati dai centri dell'ansia, del dolore e dello sconforto. Il modello di un meccanismo passivo, come è stato sopra delineato, appare oggi superato sulla base dei dati seguenti, secondo la sintesi di Holt: 1) Il sistema nervoso è continuamente attivo. I reperti elettroencefalografici mostrano che il cervello non interrompe la sua attività neppure nel sonno più profondo e nel coma; in questi periodi di minima ricezione ed espressione sembra che l'ipersincronia produca un massimo di scariche. La cellula nervosa in riposo si scarica periodicamente, e la sua attività non trasmessa cresce e cala, senza alcuna stimolazione dall'esterno. 2) L'effetto della stimolazione è pertanto quello di modulare, e non semplicemente di causare, l'attività del sistema nervoso; di porre un ordine e una configurazione sul tipo di scarica (provocando i fenomeni di codificazione). 3) Il sistema nervoso non trasmette energia. 4) Le energie del sistema nervoso, che esse siano o meno "scatenate* ( triggered) dagli organi sensoriali, sono di natura diversa da quella degli stimoli esterni. Ossia, la superficie sensoriale non è un conduttore, ma un trasformatore. 5) Le piccolissime energie trasportate dai nervi codificano l'informazione; la loro grande portata sta nella struttura dell'informazione codificata, mentre quantitativamente esse sono negligibili.e senza alcuna relazione con lo stato motivazionale della persona. Dunque, come cade la concezione di Brücke, di Meynert e di Exner di un sistema nervoso "passivo," che assume le energie dall'ambiente per liberarsene, così pure si dissolve oggi il famoso concetto di tensione, che secondo la teoria psicoanalitica stava alla base della polarità dolore-piacere. Infatti, che cosa è oggi biologicamente questa tensione? Holt vede tricotomizzarsi il concetto di allora in tre direzioni diverse: a) il tono muscolare, b) un tipo biochimico di squilibrio (ad es. iper- o iposecrezione, iper- o ipoglicemia, etc.); c) un tipo di attivazione cerebrale misurabile elettroencefalograficamente. Ossia, tre ordini di fenomeni che non hanno relazioni semplici, e che sarebbe assurdo voler riportare ad un comune denominatore. L'evidenza empirica contro la teoria psicoanalitica di una riduzione della tensione è andata sempre più avanti. Molti ricercatori hanno inoltre dimostrato, lavorando con il concetto di attivazione corticale quale risultante degli impulsi provenienti dal sistema reticolare ascendente, che c'è un livello d'attivazione (di tensione) ottimale per la maggior parte dei comportamenti, che sta in mezzo fra un eccesso di attivazione (ansia, panico) ed una sua assenza (noia, sonnolenza). Gli individui normali cercano quindi un grado moderato di attivazione, che mantenga un certo livello d'attivazione corticale, e in questo fatto si vede oggi una base motivazionale della curiosità, della tendenza del bambino e del giovane animale ad esplorare il suo ambiente ed arricchire la propria esperienza, nei limiti della propria sicurezza. Nonostante tali correzioni, si deve vedere nella moderna ricerca biologica un altro aspetto: quello secondo cui la polarità piacere-dolore, assunta da Freud come basilare in tutti i processi vitali, trova in queste esperienze un corrispettivo materiale. Da questo punto di vista, la ricerca moderna conferma l'assunto psicoanalitico, pur modificandolo e correggendolo. Un'implicazione logica della teoria di una riduzione della tensione sarebbe l'assunto che la riduzione ad un minimo di ricezione dovrebbe condurre ad un tipo di esperienza positiva, ad una specie di "nirvana." Ed infatti Freud scrive nel suo Progetto: "Low ha suggerito il termine di 'Principio di Nirvana' per questa supposta tendenza, e noi l'abbiamo accettato." Lo stesso Freud dubita tuttavia, nelle righe immediatamente seguenti, dell'esattezza di quest'assunto. E invero, non a torto, poiché oggi è possibile dire che nessuno degli esperimenti di deprivazione sensoriale ha offerto un qualsiasi indizio nel senso atteso dal modello psicoanalitico, che avvenga cioè una qualche forma di gratificazione in tale stato. Al contrario, il disagio comincia proprio allora. Né è vero ciò che diversi teorici della psicoanalisi avevano assunto, cioè che l'individuo in tal stato (per la sottrazione dell'ambiente esterno) dovesse essere esposto alla pressione di impulsi sessuali e aggressivi provenienti dall'interno, poiché ciò che i soggetti riferiscono è invece un'incapacità a pensare in modo coerente ed ordinato. Ben poco ci viene riferito riguardo a fantasie connesse agli istinti, che viceversa dipendono per lo più da fattori scatenanti esterni. A tutti questi dati si aggiungano poi quelli che derivano dai ben noti esperimenti di Olds e altri, già a lungo esposti in quest'opera, che in questo contesto rappresentano la dimostrazione che la quantità della stimolazione (al di sopra di una certa soglia) è priva di importanza, mentre è decisiva la localizzazione dello stimolo: basta spostare l'elettrodo di qualche millimetro ed ecco che gli efletti della stimolazione diventano opposti, ferma restando la sua quantità. La motivazione dell'animale autostimolantesi non è quella di ridurre una certa (spiacevole) tensione biologica, poiché il fenomeno piacere ci appare del tutto indipendente dal fenomeno di pena, e viene cercato dall'animale in sua vece e fino all'estenuazione. La preoccupazione di Freud era quella di rimpiazzare certe acute osservazioni psicologiche con teorizzazioni di tipo dinamico ed economico, tutte vertenti su concetti di forza e di energia, come se le prime fossero "metaforiche" e le seconde "reali" ("Sostituiamo queste metafore con qualcosa che sembra corrispondere meglio alla situazione reale..."); ma non si accorgeva che proprio il suo concetto di energia psichica era una metafora. L'opera di Bertalanffy ha messo in evidenza il fatto che l'essere umano è ben lungi dal costituire un sistema chiuso e che in esso operano invece delle leggi ben precise riguardanti i sistemi aperti. Il concetto di un equilibrio di forze è inappropriato per un sistema vivente che nel suo crescere e svilupparsi può mostrare le caratteristiche di entropia negativa. Un'altra osservazione: nel capitolo su "gli istinti e le loro vicissitudini" Freud avanza la tesi dell'odio primario degli oggetti: "non si può negare" egli afferma "che l'odio originariamente caratterizzava la relazione dell'Io con il mondo esterno, con gli stimoli che questo introduce. All'inizio sembra che il mondo esterno, gli oggetti e ciò che viene odiato siano identici. E ancora: "L'odio, in rapporto agli oggetti, è più antico dell'amore. Esso deriva dal primordiale ripudio del mondo esterno, con i suoi stimoli pervasivi, da parte dell'Io narcisistico." Come poco ci convincono queste asserzioni quando semplicemente osserviamo i bambini, con la loro gioia di nuove esperienze, scoperte e contatti col mondo! Ma cos'altro non è la tesi freudiana se non la logica conseguenza dell'assunto precedentemente discusso, dell'ipotesi che l'apparato nervoso sviluppa la sua funzione maggiormente vitale per l'organismo proprio nel liberarsi dagli stimoli che lo minacciano? Se ogni aumento di energia è spiacevole, allora Io sconforto risultante da quest'esperienza altro non può definirsi che odio per l'oggetto. Queste deficienze nelle premesse biologiche della prima psicoanalisi son divenute man mano più visibili sia in seguito a una certa ortodossia conservatrice che sotto la forma della fedeltà a Freud ha inibito l'ulteriore ripensamento delle posizioni iniziali, sia in seguito alle numerose esperienze psicoterapiche, che naturalmente tendono, come ogni esperienza ricca di significato, a modificare la teoria. Un esempio del problema ci viene dato dalla paradossalità e dall'evoluzione del concetto psicoanalitico d'inconscio: mentre più volte nei suoi scritti ("Noi ci avviciniamo all'Es con le immagini, e Io chiamiamo un caos, un calderone di eccitamento bollente... Gli istinti lo riempiono di energia, ma esso non ha alcuna organizzazione ed alcuna volontà unificata, soltanto un impulso ad ottenere soddisfazioni dai bisogni istintivi in accordo al principio del piacere"), Freud si esprime, sulla base delle sue osservazioni psicologiche, a favore di una "regione psichica" relativamente poco strutturata, Jung è l'antesignano di un concetto altamente strutturale. La neuropsicologia ci fornisce dati che sono a favore di questa seconda ipotesi. ("La proposizione che assegna una precisa struttura agli strati primitivi della mente può esser chiarificata nel modo migliore riferendosi agli organismi primitivi. Questi sono dominati da istinti che hanno un minimo di scelta, un minimo di confusione, un minimo di ambiguità nelle loro risposte al mondo... Questo è il tipo di struttura sottostante "l'organizzazione istintiva della memoria" di Rapaport, la teoria dell'impulso, il concetto di zona e modo di Erikson e i cicli regolari degli istinti e degli afletti di Benedek.) Nella teoria psicoanalitica, ci dice Lewis, l'istinto è concepito come qualcosa che tende a scaricarsi, e la maggior parte degli studi psicoanalitici sono stati dedicati ai meccanismi di dilazione e di controllo di queste tensioni. Ma ciò che facilmente viene scotomizzato è il fatto che gli istinti hanno una struttura complessa, come è dimostrato dalla sequenza ordinata del comportamento che da essi scaturisce. Vi sono coordinazioni complesse, come i programmi di un elaboratore, organizzati non solo temporalmente, ma anche spazialmente. La struttura viene rilevata in un ordine sequenziale, come nei codici telegrafici. La scarica di un istinto richiede la successione precisa di molti gradini funzionali ed ha, come il linguaggio, la sua struttura sintattica, i suoi cicli, le sue fasi critiche. Nel loro libro Plans ani the Structure of Behaviour Miller, Galanter e Pribram declinano come inadeguato qualsiasi concetto di un cervello espletante un tipo di attività del tipo di quella rappresentata nella teoria dell'arco riflesso e sviluppano il modello di schemi di ordini sequenziali continuamente operanti, impostati su meccanismi di feedback, intervalli definiti e informativi di segnali, trasformazioni di codici, etc. che servono tutti a creare la base del comportamento, i "programmi" insiti al decorrere degli atti istintivi. Quando C. G. Jung afferma, sulla base di osservazioni cliniche, che dall'inconscio, cioè da un tipo di coscienza di cui l'individuo durante la veglia non sa rendersi conto, erompono durante il sonno immagini oniriche che hanno, secondo l'apparenza fenomenologica, la funzione di segnalare alla consapevolezza del soggetto (indipendentemente dal fatto che questi sia poi in grado di comprendere e integrare i segnali o meno) certe unilateralità delle sue relazioni con il mondo esterno (compensando queste con immagini opposte), allora si deve presumere che esiste nel mondo dell'inconscio non solo una finissima percezione (affidata a vie neurali sconosciute) del modo di essere del soggetto nel mondo, ma anche la capacità di movimenti configurativi tendenti a ristabilire certi "assi" di equilibrio antropologico che sfuggono al tipo di pensiero razionale dell'individuo in questione. La coscienza dell'inadeguatezza di certi modelli psicoanalitici originari è ormai presente anche nell'ambito della psicoanalisi freudiana. Al Congresso di Psicoanalisi ed Etologia del 1959 a Copenhagen (3218) sia Kaufman che Bowlby hanno discusso questa inadeguatezza dei modelli da loro chiamati "idrodinamici," con cui la prima psicoanalisi tentava di spiegare la struttura dell'istinto e in cui quest'ultimo veniva paragonato ad una riserva di energia specifica che poi si scaricava come per l'apertura di un rubinetto. Kaufman (1696) ha osservato in proposito come la ricerca etologica moderna ci abbia mostrato che certi comportamenti istintivi vengono interrotti da determinati stimoli, e conclude che fatti del genere sono inspiegabili secondo il modello idraulico, ma conformi agli odierni modelli cibernetici. Quella che oggi viene così superata è la dicotomia freudiana fra un Es "privo di dimensioni temporali" (secondo la sua terminologia tardiva) ed un Io di cui faccia parte una struttura temporale da apprendere. Freud stesso negli ultimi anni ha cominciato a riconoscere che l'essenza del tempo sta nella continuità di un processo. La dimensione temporale di strutture inconsce non va naturalmente confusa con la capacità della percezione del tempo durante la veglia, ma va oggi riconosciuta come un tipo di organizzazione, mentre la dicotomia fra Io ed inconscio, fra istinto e apprendimento, fra comportamento scaturiente da fattori innati e comportamento successivo a determinate esperienze, non è più ammissibile nei parametri rigidi di un pensiero passato. La psicoanalisi serve, a mio modo di vedere, allo sviluppo della neuropsicologia offrendole delle descrizioni della struttura del comportamento, di cui alcuni tratti appaiono successivamente investigabili anche fisiologicamente. Diversi concetti neuropsicologici, come quello delle tracce mnemoniche, dei vari livelli di coscienza, etc. hanno un'origine psicoanalitica, cosi come lo hanno in psichiatria il concetto di conflitto, di sentimento d'inferiorità, di sviluppo sessuale, anche se poi, coscientemente ed esplicitamente, molti non si riferiscono a tale origine. Viceversa, la neuropsicologia serve allo sviluppo della psicoanalisi offrendo la possibilità di verificare le sue ipotesi biologiche e di paragonare concezioni opposte del comportamento umano, sorte lungo la storia della psicoanalisi, con dati sperimentali. Fra le concezioni neuropsicologiche odierne da tenere presenti nel modello teorico della psicoanalisi, bisogna ricordare: 1 ) Il concetto d'informazione, che si va sostituendo a quello speculativo di energia psichica. Le funzioni mentali si modificano nel cervello attraverso una riorganizzazione di circuiti, d'impulsi nervosi, d'associazioni informative, anziché di trasformazioni energetiche specifiche. Vedi qui in particolare gli studi di Brazier, che io ho riassunto nel paragrafo sull'informazione. 2) Gli studi di Olds sui sistemi specifici di compenso e punizione, che sono stati egualmente esposti a lungo in quest'opera, e che, come è già stato detto, modificano l'assunto psicoanalitico di un monismo strutturale nella polarità di piacere-dolore (dolore = tensione, piacere = distensione), introducendc la dualità di due sistemi interrelati, ma indipendenti e strutturalmente diversi. 3) Il concetto di un paragone fra la percezione attuale ed ilmodello neuronale formatosi su percezioni precedenti; paragone che risulta nella registrazione dei fatti nuovi come significativi per il soggetto e che investe, come ha osservato Pribram, tutto il problema dell'aspettativa. La realizzazione di desideri, l'anticipazione, la fantasia sono processi studiabili neuropsico- logicamente su questa traccia di concezioni e di esperimenti attuali. III) Formulazioni psicoanalitiche confermate o discusse dall'odierna neuropsicologia o facenti implicitamente parte della sua ricerca a) Psicogenesi Un assioma della psicoanalisi è quello per cui determinati tipi di esperienza hanno effetti del tutto diversi sulla formazione del carattere a seconda dell'interazione con altri fattori, a loro volta ambientali, ma anche costituzionali. Ciò non significa che, in ultima analisi, sono questi ultimi fattori, quelli costituzionali, a decidere del destino dell'individuo, perché da soli essi non provocherebbero sempre certe forme patogene d'esperienza. Quest'interazione di fattori ambientali e fattori costituzionali nella formazione di molti disturbi psichici non è stata accettata da quella psichiatria "organica" che, in assenza di lesioni cerebrali, ha postulato l'importanza esclusiva del "terreno" per la genesi della psicopatologia. Oggi lo sviluppo scientifico tende a dare ragione, mi sembra, alla prima tesi. Essa trova sostegno, da un canto, nella sociologia psichiatrica (La sociologia psichiatrica ha mostrato nel corso degli ultimi dieci anni che una certa quantità di individui sani sono andati incontro, in seguito ad esperienze sociotraumatiche della scorsa guerra mondiale, a disturbi psichici gravi (la cui struttura in questo contesto non ci interessa). Se in presenza di una nevrosi infantile era teoricamente possibile (per l'osservatore distante dai fenomeni osservati) riportare i'intera psicopatologia al "terreno," ciò non appare più fattibile in presenza di decorsi che, per il fatto di intervenire solo in una frazione di tutti gli individui esposti a quella categoria di traumi, hanno indubbiamente una causalità polivalente, ma che dimostrano anche, con il loro instaurarsi in individui fin'allora socialmente e familiarmente bene integrati, l'incidenza di altri fattori che vanno al di là della sola costituzione), dall'altro, nella neuropsicologia. È quest'ultima che ci interessa in questo contesto. Ne riassumiamo i principali reperti nelle seguenti categorie: 1) modificazioni del carattere adulto in animali in seguito ad esperienze infantili (rapporto con la madre, manipolazioni varie dell'ambiente); 2) modificazioni delle strutture neurali in animali in seguito ad esperienze infantili (arricchimento o impoverimento dell'ambiente); 3) diverse conseguenze di interventi fisici su strutture cerebrali a seconda del catattere dell'animale; 4) importanza dell'apprendimento. 1) Modificazioni del carattere adulto in animali in seguito ad esperienze infantili. — Un concetto fondamentale della psicoanalisi è quello che le esperienze precoci, postnatali o infantili, influenzano profondamente la struttura adulta. Ora, questo principio è stato attualmente verificato dalla neuropsicologia in numerosi esperimenti, che in gran parte sono stati riferiti in quest'opera; così, quelli di Harlow sulle scimmie allevate in stato di deprivazione materna, quelli di Niessen su cani allevati in stato di isolamento. Aggiungiamo a questi alcuni altri dati. L'effetto della separazione materna è stato studiato recentemente in un gruppo di scimmie, che all'età di 30-32 settimane venivano allontanate dalle madri per un periodo di 6 giorni. Il comportamento infantile ne risultava alterato per intere settimane dopo il ritorno della madre. I smtomi presentati dagli animali erano assai simili a quelli corrispondenti umani; essi variavano da caso a caso in rapporto al tipo di relazione madre-figlio precedente alla separazione. Un altro punto interessante è l'inizio di un'investigazione fisica di quei fenomeni raggruppati sotto il termine generale di empatia materna. È stato trovato che gli animali roditori emettono sin dalla nascita ultrasuoni di frequenza variabile (da 35 a 100 KHz) a seconda della specie, con cui comunicano alla madre stati fisici di disagio (fame, freddo, etc.). L'emissione dura fino a 13 giorni dopo la nascita. L'alta mortalità infantile osservata nei brefotrofi da Spitz in assenza della madre, o il rapido decadimento fisico di persone anziane tolte dal loro ambiente professionale, o familiare trova un riscontro nel fatto che certi animali, ad esempio le scimmie, deperiscono e muoiono in stato di prigionia. Contemporaneamente sono state osservate in tali scimmie delle modificazioni nell'attività elettrica della corteccia e di formazioni sottocorticali (Lagutina e Sysoeva), delle alterazioni della composizione ematica (Kuksova), delle manifestazioni di disproteinemia (Abnenkov), dei disturbi della funzione adrenale (Goncharov) e una diminuzione nel contenuto in vitamine (A1, B6, B12, C, PP ed acido folico). Gli autori russi sottolineano inoltre il perseverare di queste alterazioni durante diversi mesi di acclimatazione, quando l'animale non viene a morte. Tutti questi disturbi, essi aggiungono, sono dovuti a disturbi nei meccanismi regolativi degli alti e bassi livelli del sistema nervoso centrale, causati da una massa di stimoli ecologici inadeguati emananti dal nuovo ambiente. È interessante anche l'osservazione che per un completo e rapido adattamento al nuovo ambiente è necessario l'instaurarsi di una vita sociale che permetta il superamento delle influenze traumatiche provenienti dallo "stress ecologico." La psicoanalisi non si interessa però solo al problema della presenza o dell'assenza di un'esperienza, ma anche alla natura di tale esperienza e, in particolare, dell'interazione fra bisogni istintivi, modi di espressione di tali bisogni, strutture di controllo, processi e reazioni ambientali, soluzioni di problemi e di conflitti, che risultano in nuove funzioni, in compiti di adattamento diversamente manipolati a seconda dell'età, della fase, delle predisposizioni del bambino, e dell'entrata in scena di altre variabili, come lo sviluppo di motilità, ansia, percezione, memoria, discriminazione, fino alla dimostrazione di una profonda interdipendenza di cultura e biologia. A questo proposito sono noti soprattutto gli studi di Spitz, che abbiamo anche citato nel corso delle nostre esposizioni neuropsicologiche; ma esistono tante altre ricerche di valore, come quelle di Money che dimostrano in ermafroditi umani l'importanza del ruolo sociale mediato dall'educazione nella strutturazione dell'autoidentità sessuale; o quelli di Escalona che dimostrano come diversi atteggiamenti materni possono condurre a conseguenze assai simili nel determinare un tipo di esperienza infantile, quale esso viene riflesso dal comportamento; poiché, come l'autrice ci dice, "esperienza non è solo lo stimolo ambientale, né una certa innata tendenza a reagire in un dato modo, né la semplice somma di questi fattori, ma il modo in cui questi fattori alterano ciò che il bimbo sente con i suoi sensi." Ma anche nei mammiferi inferiori è stata dimostrata l'importanza dell'esperienza infantile nella formazione del carattere adulto. Ricordiamo le esperienze di Ginsburg sui topi separati dopo la nascita ed assoggettati a diversi tipi di ambiente. Ginsburg isolava vari ceppi di topi dopo lo svezzamento e notava che le esperienze fatte dall'animale durante il periodo precedente l'isolamento (in cui nessuna nuova esperienza poteva più esser compiuta) influenzavano la formazione del carattere adulto. Gli animali che erano stati manipolati durante il periodo postnatale si assoggettavano facilmente ai membri di altri ceppi di topi; gli animali che non erano stati manipolati tendevano invece a dominare. Questa differenza si manifestava però solo nell'ambito di ceppi dimostranti aggressività nella lotta; nell'ambito degli altri ceppi la manipolazione postnatale non aveva alcuna influenza sulla formazione del carattere. Questi esperimenti sono interessanti perché dimostrano come le esperienze precoci hanno un'importanza differenziale sull'ulteriore sviluppo del carattere a seconda della loro convergenza o meno con determinate qualità preesperienziali; e anche perché indicano come un medesimo comportamento (ad es. docilità) può avere una genesi diversa. (In un ceppo di topi, quello non naturalmente disposto alla lotta e all'aggressività, la genesi è costituzionale; nell'altro gruppo, quello di topi predisposti alla lotta, ma manipolati dopo la nascita, la genesi è ambientale.) Nei ratti è stato inoltre dimostrato che la manipolazione in età infantile diminuisce la loro sensibilità emotiva; la manipolazione durante l'infanzia o l'allevamento da parte di una madre che non è stata esposta durante l'infanzia a manipolazione aumenta il comportamento esplorativo. Infine, il comportamento esplorativo, l'atteggiamento verso l'ambiente vengono successivamente modificati da particolari sequenze di esperienze di vita, mentre il tipo di emotività, una volta stabilita, non si modifica più. 2) Modificazioni delle strutture neurali in animali in seguito ad esperienze infantili (arricchimento o impoverimento dell'ambiente).— Il problema del rapporto fra certi tipi d'esperienza psichica e i conseguenti fenomeni somatici è uno dei più affascinanti della moderna psicologia sperimentale. Sebbene l'esistenza di questi rapporti sia notissima in psicoanalisi, le osservazioni sperimentali hanno il vantaggio di aggiungere dati verificati in precisi parametri di osservazione (ove il fenomeno può essere ripetuto e controllato sperimentalmente) ad una esperienza psicoanalitica che, per esser spesso fondata sul singolo caso e senza una dimostrazione statistica di relazioni causali viene spesso svalorizzata. Un esempio di modificazioni somatiche accertate in precise osservazioni e successive a momenti di ordine psicogeno ci viene offerto dall'autore russo Nikitenko. Il risultato dei processi di addomesticamento è, come afferma l'autore, sulla base di un'analisi citoarchitettonica minuziosa, un aumento del volume di neuroni corticali e una diminuzione del loro numero e densità. Anzitutto si modificano gli strati della corteccia che contengono neuroni di "associazione secondaria." In complesso i centri di proiezione nella corteccia diminuiscono in seguito alla regressione dei "reparti periferici degli analizzatori " dovuta ai processi di addomesticamento. Contemporaneamente aumentano i centri associativi, in seguito ad un incremento nell'attività di riflessi condizionati in animali addomesticati. In particolare, tale aumento di attività sta in rapporto con le relazioni dell'animale verso esseri umani. Ricordiamo qui anche le esperienze di Krech che, dopo aver arricchito sperimentalmente l'ambiente in cui i ratti passavano le loro prime settimane di vita, stabiliva che in corrispondenza aumentava non solo l'abilità degli animali a risolvere determinati problemi, ma anche intervenivano modificazioni cerebrali, come l'aumento della massa corticale in rapporto al rimanente del cervello, l'aumento del sistema vascolare della corteccia, l'aumento nel numero di cellule gliali per neurone corticale, l'aumento nei livelli totali di attività degli enzimi cerebrali acetilcolinesterase e colinesterase. Non solo, ma esisteva anche una precisa correlazione fra l'entità di queste modificazioni cerebrali e l'aumento nelle capacità mentali degli animali. Una prova infine degli intimi rapporti vicendevoli esistenti fra ambiente ed eredità era il reperto che le stesse modificazioni indotte dall'ambiente erano riproducibili mediante un'adeguata selezione genetica nel corso delle generazioni. I lavori di Krech e del suo gruppo sono il frutto di dodici anni di ricerche. Sono importanti anche gli studi di Rosenzweig, che ha allevato dei ratti neonati in ambienti diversi, l'uno ricco di stimoli fisici e sociali, associato ad addestramento formale, l'altro impoverito di stimoli mediante l'isolamento sociale. La diversa esperienza si traduceva in un maggior peso e densità corticale, in un maggior numero di cellule gliali, in una maggiore attività fermentativa (acetilcolina e colinesterase), nell'aumentato diametro dei capillari corticali, in una maggiore ramificazione dei dendriti nella corteccia cerebrale dei ratti esposti all'ambiente stimolante. Gli esperimenti di controllo hanno permesso di escludere che fenomeni come la locomozione, etc. possano aver influenzato i risultati. È interessante pure l'osservazione degli autori che anche gli animali adulti mostrano una plasticità cerebrale. Comunque, nell'adulto l'apprendimento avviene in rapide alterazioni fisiologiche in vari punti staccati della rete neurale, sì che la loro localizzazione è un compito difficile; inoltre, l'apprendimento primario è già completato nell'infanzia ed avviene nell'adulto solo quando questi è confrontato con esperienze essenzialmente nuove. Per questo il cervello degli animali neonati è più adatto a tal genere di studi. I reperti hanno un'importanza significativa per la psicoanalisi, anche se essi sono stati ottenuti in parametri di studio del tutto diversi e anche se essi riguardano, non meno che la psicoanalisi, tutta la psicologia dell'età evolutiva. Essenziale per le scienze psicologiche è il. riconoscimento che i fattori psicogeni (come l'apprendimento) strutturano non già un'entità astratta come la psiche che, ima volta separata teoricamente dal sistema nervoso, viene dichiarata poi come non esistente; ma strutturano, con i parametri del comportamento sociale, anche il sistema nervoso e dimostrano definitivamente quel tipo di operazioni psicofisiche che, per essere a direzionalità opposta a quelle classiche fisiopsichiche, sono state a lungo negate. 3) Diverse conseguenze dì interventi fisici sulle strutture cerebrali a seconda del carattere dell'animale. — La neuropsicologia odierna ci mostra come perfino le conseguenze d'interventi chirurgici su varie strutture cerebrali non portano ad alterazioni psichiche costanti o almeno nella loro variabilità statistica indipendenti da fattori sociologici. Al contrario, sono talora queste variabili sociologiche a decidere delle patogenicità o meno di certe ablazioni organiche. Un esempio di questo sviluppo scientifico ci è offerto da esperimenti canadesi presentati al recente Congresso Internazionale di Psicologia. Tin gruppo di scimmie adolescenti di sesso maschile veniva sottoposto alla sezione del fornice bilaterale, e il loro comportamento postoperativo veniva paragonato con quello di casi controllo. Avvenivano alterazioni nell'ambito del comportamento sociale: infatti gli animali operati non mostravano talora che una bassa interazione sociale e richiedevano settimane di tempo per partecipare a giochi reciproci con altri animali, etc. Ora, il fatto interessante era che queste alterazioni del comportamento non erano presenti in tutti gli animali. Questo reperto da solo non avrebbe un grande significato, poiché oggi conosciamo l'importanza dei fattori statistici in tutte le reazioni psicofisiche. Il fatto più interessante era però che esisteva un rapporto significativo fra le alterazioni comportamentali e una specifica variabile sociologica precedente l'operazione: le scimmie che prima dell'operazione avevano espletato socialmente un atteggiamento dominante nell'ambito del gruppo, mostravano dopo l'intervento un comportamento normale, mentre le scimmie appartenenti alla categoria dei membri subordinati apparivano disturbate. Questo reperto è naturalmente indipendente dal problema della natura stessa della dominanza sociale, poiché evidentemente non i fattori biologici che stavano alla base di essa, ma il fatto concreto di una socievolezza o meno influenzava le conseguenze patologiche del comportamento sociale indotte da una lesione cerebrale specifica. Un altro esempio è quello offertoci da Bunnell, anche questo reso noto al recente Congresso Internazionale di Psicologia. L'autore ha disturbato il livello di interazioni sociali nei ratti mediante delle lesioni della regione del setto. Una delle conseguenze era un aumento delle risposte aggressive o di fuga; ma la direzione della reazione (o di aggressione o di fuga) non era determinata dalla lesione, ma dall'esperienza preoperativa dell'animale. Le lesioni della regione settale provocano secondo altre recenti ricerche un aumento delle reazioni interanimali. La direzione di tali reazioni non è però definita dalla lesione in sé! Ancora una volta, fattori del tipo dell'apprendimento concorrono qui con fattori fisiologici di ordine diverso, come quelli risultanti dall'intervento chirurgico. 4) Importanza dell'apprendimento. — L'importanza dei fattori esperienziali nel meccanismo delle attività considerate un tempo come strutturate da fattori innati (e in questo senso definite come puramente istintive) è stata recentemente sottolineata da Birch al Congresso Internazionale di Psicologia a Mosca. L'autore ha stabilito che la fame non è controllata solo da meccanismi omeostatici interni, ma che l'ambiente esterno, operante come apprendimento, è un secondo potente regolatore della fame. Infatti, in una categoria di esperimenti, i ratti aumentavano il consumo di cibo al di là della loro misura giornaliera se esposti per cinque minuti a stimoli previamente associati all'atto del mangiare. L'aumento del consumo era di ben un terzo! Altri dati dell'autore indicano che i ratti mangiano di più dopo due ore di privazione di cibo seguite da cinque minuti di esposizione a stimoli associati al cibarsi, che dopo 24 ore di privazione di cibo in un ambiente non associato all'assunzione di cibo. Ciò mette in evidenza l'importanza dei fattori ambientali nelle condizioni sperimentali. Il concetto dell'importanza dell'esperienza e dell'ambiente nella morfogenesi può essere visto nell'ambito di un fenomeno ancora più generale, quello che visualizza l'importanza di tutti i fenomeni d'interazione anche al di là delle dimensioni esperienziali. Certo, qui si rischia di allargare l'orizzonte in un grado tale che il concetto finisce col divenire una generalità; ma vogliamo tuttavia accennare a determinati orientamenti scientifici, come l'odierna tendenza a vedere l'interazione di gruppi di unità subgeniche ("cistroni") nella morfogenesi, o di complesse integrazioni transregionali in singole funzioni nervose. Il problema dell'organizzazione, che a qualsiasi livello sembrava misterioso cinquantanni orsono, sembra oggi connesso con quello della contiguità spaziotemporale e delle relazioni organizzative fra le parti, a cominciare dal livello dello sviluppo embrionale fino a quello dei modelli strutturali della psicoanalisi, ove il problema dell'organizzazione è stato studiato recentemente da Rapaport, ma già discusso da Freud e altri. 5) Studio crìtico sperimentale di assiomi psicoanalitici. — La teoria psicoanalitica contiene certe ipotesi che vanno in parte corrette ad una verifica sperimentale. Il valore di queste ipotesi è quello di essere verificabili, o suscettibili di una critica sperimentale. Le ipotesi che si sottraggono perennemente a qualsiasi tentativo di validazione sperimentale non hanno un valore scientifico, poiché non permettono mai di sapere se ciò che è plausibile è anche vero. Le ipotesi che nel corso degli esperimenti vanno man mano corrette e finiscono con l'essere, nella loro forma originaria, negate, mantengono tuttavia un valore dinamico nello sviluppo della scienza: la loro discussione struttura il progresso scientifico e la ricerca si estende nel campo definito dalla tensione fra possibile e vero. Per esempio la teoria psicoanalitica sostiene che lo sviluppo di qualità caratterologiche è correlato, e quindi geneticamente connesso, a determinate esperienze infantili (psicogenesi del carattere). Che gli atteggiamenti caratterologici (patologia o normali) siano di natura psicoreattiva (o comunicativa) è confermato, globalmente, dall'esperienza psicoterapica. Questa rappresenta però un insieme di acute osservazioni cliniche, di impressioni e di interpolazioni teoriche. Le interpolazioni vengono talora usate come una petitio principii: sulla base della teoria si postula, nel caso particolare, una correlazione fra struttura del carattere e tipo di esperienza infantile; tale assunzione viene poi addotta come prova clinica della teoria. Sorge allora il problema: quali correlazioni esistono sperimentalmente, e quali vanno scartate? Il problema è cioè di natura differenziale, e non di principio. Goldmann-Eisler ha studiato questo problema settorialmente. Il settore scelto era centrale per la teoria psicoanalitica: il rapporto fra sviluppo del carattere e il tipo di esperienza orale. È noto che la psicoanalisi distingue fra due tipi di carattere adulto: quello corrispondente ad una soddisfazione orale, e quello corrispondente ad una frustrazione orale. Aspetti del primo tipo sono l'ottimismo, la socievolezza, l'apertura a nuove idee, l'ambizione; aspetti del secondo tipo sono il pessimismo, l'umore depressivo, le tendenze autistiche, le attitudini passivo-ricettive, il senso di insicurezza, l'ambizione pervasa da un senso di impotenza, il continuo senso di ingiustizia patita, la paura della concorrenza. Il metodo sperimentale di Goldmann-Eisler è stato il seguente: anzitutto costruzione di 19 scale di qualità caratterologiche (come quelle pocanzi menzionate) ricavate dalla letteratura psicoanalitica; queste venivano poi usate come test di 115 adulti, la cui anamnesi permetteva di ricostruire chiaramente una esperienza di frustrazione o soddisfazione orale. Quindi standardizzazione, intercorrelazione e analisi fattoriale delle scale. Ne risultano due fattori, di cui il primo descrive le variazioni esperienziali infantili (va cioè da un massimo di gratificazione orale ad un massimo di frustrazione, mentre l'altro, il secondo, si stende fra i due estremi di impulsività-aggressività e rigidità ossessiva. Ne risulta una correlazione positiva fra pessimismo e frustrazione orale. Viceversa, non appare una correlazione significativa fra frustrazione orale e aggressività sadica, contrariamente al postulato della teoria psicoanalitica. Questa viene quindi in parte confermata e in parte corretta. b) Categorie strutturali psichiche 1) Il concetto psicoanalitico di memoria. — Uno dei postulati della psicoanalisi è quello del legame fra motivo e memoria, di una "organizzazione istintiva della memoria," da cui si sviluppa in seguito un'organizzazione cognitiva di essa. Già nel 1900 Freud postulava l'esistenza di due sistemi psichici devoluti alla funzione della memoria, l'uno a funzione percettiva, l'altro a funzione ritentiva. Veniva introdotto il concetto di "traccia mnemonica," corrispondente a mutazioni permanenti in uno dei due sistemi. Nel suo Progetto Freud scriveva: "Cosi il giudizio è un ... processo ... che viene strutturato dalla differenza esistente fra la ... catessi di una memoria e una simile catessi percettiva. Ne segue che, quando queste due catessi coincidono, il fatto sarà un segnale biologico per la cessazione del pensiero e l'inizio di una scarica. Quando le due catessi non coincidono, allora ne risulta un impeto per l'attività del pensiero, che infine cessa quando si ha la coincidenza. Una delle caratteristiche principali del tessuto nervoso è quella della "memoria": la quale è, in certo senso, una suscettibilità del substrato ad alterazioni permanenti indotte da un singolo processo. C'è un netto contrasto fra ciò e il comportamento di un materiale che permette ad un movimento ondoso di attraversarlo, per ritornare poi alla sua condizione originaria. Qualsiasi teoria psicologica che meriti considerazione deve provvedere a una spiegazione della memoria. Ora, questa spiegazione urta contro la difficoltà che... dopo un'eccitazione i neuroni sono permanentemente differenti da quello che essi erano prima, mentre, d'altro canto, non può esser negato che, in genere, le eccitazioni recenti incontrano le medesime condizioni di ricezione di quelle più antiche. Così, i neuroni sembrerebbero contemporaneamente venir influenzati e rimanere inalterati... Noi non possiamo senz'altro immaginare un apparato capace di una funzione cosi complicata." Oggi, in neuropsicologia si parla egualmente di due tipi di memoria, e l'ipotesi freudiana di un "paragone" fra traccia percettiva e traccia mnemonica nella strutturazione degli atti cognitivi viene ripresa e ulteriormente sviluppata (Pribram). Secondo l'ipotesi di Freud viene ammessa, poi, una dicotomia dell'inconscio in un sistema assolutamente sottratto alla coscienza (UC) e in un sistema attualmente non cosciente, ma passibile in ogni istante di coscientizzazione (PC).. Mentre il primo, l'inconscio vero e proprio, viene mantenuto in uno stato di dissociazione dalla coscienza "attivamente" (mediante l'azione di controcatessi che isolano ad es. un complesso ansiogeno), il secondo, il preconscio, è formato da tutta quella infinità di "engrammi" che costituiscono nel tempo la nostra psiche; il presente non può contenere tutto il passato, ma solo un frammento di esso; non è possibile esser cosciente, contemporaneamente, dell'infinità di eventi trascorsi, ma è indifferente quale di questi entra nel campo della coscienza. Vogliamo confrontare questa ipotesi con i risultati della neuropsicologia moderna. Ammessa l'esistenza di due fasi della memoria, una di natura elettrochimica, labile, transitoria, l'altra di natura istochimica, permanente, ma non necessariamente cosciente, è possibile equiparare il sistema UC con la seconda fase..In presenza di controcatessi (non dimostrate sperimentalmente, ma sempre ipotizzabili e suggerite all'osservazione clinica) la prima fase (corrispondente alla riformazione di circuiti riverberanti) viene stabilmente inibita, e la traccia mnemonica rimane inutilizzabile, ma permanente (da qui la supposizione che essa resti in qualche modo attiva come elemento di disturbo nella dinamica della libido, supposizione per ora provabile solo clinicamente). Il sistema PC è viceversa costituito da un'infinità di tracce mnemoniche potenzialmente tutte rievocabili. In che cosa consiste tale rievocazione? Naturalmente non lo sappiamo: ma, approssimandoci un poco al fenomeno, possiamo supporre che il fatto della coscienza appaia durante l'evoluzione della vita nel punto in cui la complessità degli innumerevoli rapporti interneuronici, dei processi medianti supera un certo livello. Così la trasmissione dei caratteri ereditari, anch'essa dipendente dall'uso di "codici" da parte dell'organismo, è di qualità incosciente: e di qualità incosciente è pure la vita delle piante, degli animali inferiori, fatta tutta di riflessi; mentre solo un certo gradiente di complessità di processi medianti è connesso all'esperienza della coscienza. Sulla base di quest'assunzione possiamo ammettere che la coscientizzazione di un fenomeno equivale alla sua interazione con una molteplicità di informazioni attuali, che lo presentizzano. Coscientizzazione significa, allora, complessità di integrazioni nel presente, e perciò, contemporaneamente, "plasticità" di un modulo, di uno schema, di una configurazione psichica. Quanto più questa è cosciente, tanto più è in contatto con una ricchezza di processi medianti che influiscono su di essa. Da un canto il "complesso" eserciterà la sua influenza, proprio attraverso questa ricchezza di mediazioni, sull'intera psiche: da qui la tendenza di questa psiche presentizzata, o complesso dell'Io, di difendersi dall'eventuale pressione ansiogena di contenuti mentali. Ma, una volta superata questa "resistenza" e accettata la tensione (come spesso succede, in psicoterapia, dopo interpretazioni ansiogene, ma sentite come vere, ossia che vengono integrate) il complesso non si limiterà a "disturbare" l'Io, ma verrà anch'esso, a sua volta, a poco a poco modificato da quella realtà multi- dimensionale cui esso era prima, nella repressione, sottratto, e assumerà in essa, attraverso l'interazione con nuove esperienze, un'altra configurazione. La tendenza alla ripetizione (Wiederholungszwang). La tendenza" alla ripetlzione è stata per la prima volta descritta nella vita biologica da Freud. Egli ha spiegato con quest'ipotesi di una "coazione a ripetere" (un meccanismo coattivo proprio di ogni struttura biologica) il fatto che gli eventi traumatici si ripetono stereotipicamente nei sogni, in contrasto con ciò che Freud riteneva la legge fondamentale della strutturazione onirica, la realizzazione simbolica del desiderio. Questa tendenza alla ripetizione era allora una mera ipotesi, ma essa va acquistando un profilo nella ricerca neuropsicologica. Da un canto è stato stabilito da Thorndike che gli individui sottoposti al compito (volontario) di ripetere degli atti per loro spiacevoli perdono, almeno nella maggior parte dei casi, attraverso la ripetizione regolare dell'atto, una parte della loro avversione. La tendenza di certi bambini neurotici a ripetere continuamente parole coatte può essere visualizzata in questo senso come un tentativo dell'inconscio di superare parzialmente certe profonde inibizioni. Anche la ripetizione nei sogni di scene traumatiche può essere egualmente interpretata come un tentativo incosciente del soggetto di elaborare certe esperienze fortemente spiacevoli, vivendole simbolicamente. D'altro canto, esiste una tendenza a ripetere che sembra dovuta biologicamente al fissarsi di certi modelli di funzione che si mantengono come circuiti riverberanti; una volta creatosi un circuito con le sue facilitazioni sinaptiche, l'abbassamento funzionale della soglia di trasmissione tende a mantenere il meccanismo. 2) Il concetto psicoanalitico di ritardo. — Il concetto di ritardo {delay) ci offre l'esempio di un inizio di ricerche comuni, fecondo in neuropsicologia e in psicoanalisi. Gli studi neuropsicologici che vertono su questo fenomeno sono stati riassunti in diversi paragrafi, ma soprattutto in quello sui lobi frontali. Aggiungiamo adesso brevemente il contributo psicoanalitico. Esso è dovuto soprattutto agli studi di David Rapaport. "Lo sviluppo generale della struttura psichica si inizia con l'attività innata di soglie regolanti le scariche nervose ed è sviluppato dalla dilazione della scarica, causata dalla realtà, la quale stabilisce appunto una capacità di posporre". Negli scritti di Rapaport troviamo il concetto che i sistemi di controllo (da cui risulta la formazione dell'Io) richiedono la capacità di dilazione temporale; che questa dilazione temporale è il germe del cosiddetto principio psicoanalitico di realtà, del posponimento di una soddisfazione immediata nella percezione di interessi organismici e interorganismici più complessa È interessante in particolare l'ipotesi di Rapaport sulla nascita del pensiero da meccanismi siffatti. Il pensiero scaturisce dalla presenza di una tensione istintuale in assenza dell'oggetto adatto a soddisfare quella tensione, situazione, questa, tipica dell'esistenza umana già nel suo periodo immediatamente postnatale. La soddisfazione precedente ha lasciato una traccia mnemonica, che viene riattivata adesso dalla tensione istintuale e determina, in assenza dell'oggetto, la sua rappresentazione. Già i movimenti delle labbra dell'infante ci inducono a ritenere che si tratta non di rappresentazioni intellettuali come nell'adulto, che è in grado di una percezione differenziale della realtà, ma d'immagini allucinatorie, non dissimili da quelle oniriche o di certi stati crepuscolari. La copresenza di quest'immagine dell'oggetto con la percezione del persistere della tensione istintuale favorisce la progressiva coscienza della natura puramente rappresentativa dell'attualità oggettuale, la coscienza dell'immaginare. 3) Il concetto psicoanalitico di catessi. — Come afferma Pribram, il modello psicoanalitico riconosce le eccitazioni graduate del tessuto neurale come "catessi," in opposizione alle scariche nervose di quantità unitarie di eccitazione nervosa secondo il principio del tutto o nulla.6 (Grandi quantità d'eccitazione (la cui scarica non controllata caratterizza i processi primari) vengono legate in modo da prevenire la loro scarica immediata e da permettere la scarica selettiva, organizzata temporalmente in piccole quantità nell'ambito di processi secondari. "Così, il processo secondario è una ricapitolazione della fonte originaria dell'eccitazione i, ma ad un livello più basso, con quantità più piccole.) Ora, il fatto interessante è che i meccanismi graduati d'eccitazione neurale sono divenuti recentemente, secondo l'affermazione di Pribram, un punto focale della ricerca neurofisiologica. Bishop, uno studioso dei meccanismi dendritici (al cui livello le modificazioni di potenziali sono in gran parte graduate), arriva a dire che i meccanismi graduati rappresentano degli stati funzionali importanti d sistema nervoso e che gli impulsi nervosi trasmettono le informazioni di que: stati da una regione cerebrale all'altra. Vicino al concetto di catessi sta quello di dilazione o ritardo nel modello psicoanalitico, poiché sono le catessi, opposte alle correnti connesse al processo scarica, che permettono la dilazione. I risultati sperimentali dell'odierna neurofisiologia (In un esperimento di Gloor la stimolazione nei limiti dell'amigdala aumentava ad esempio le modificazioni graduate di potenziale (graded potential changes) registrate da un'altra struttura (lo strato dendritico dell'ippocampo) e nessun impulso nervoso veniva quivi generato (non vi era cioè un aumento nelle scariche dal fornice, il maggior sistema output dall'ippocampo). Inoltre Eccles ha trovato che l'eccitazione che raggiunge i dendriti dell'ippocampo spesso non basta a generare una depolarizzazione sufficiente a provocare la propagazione di una scarica nervosa) sono compatibili, come si esprime Pribram, con i rudimenti neurologi del modello psicoanalitico, anche se per ora manca un supporto sperimentale del significato funzionale, in quanto non è possibile decidere se i meccanismi graduati hanno la funzione di dilazionare la scarica o indicano semplic mente che la scarica non è avvenuta. L'intento di Pribram non è però semplicemente quello di stabilire delle analogie fra l'originario modello psicoanalitico e la ricerca neurofisiologica odierna, o di mostrare un'eventuale influenza del primo sulla seconda o una parziale conferma. Ciò che rende scientificamente più interessante il punto di vista di Pribram è la tesi secondo cui lo sviluppo odierno della ricerca permetterà di studiare sperimentalmente certi dati delle ipotesi freudiana. Ciò mi sembra significativo in vista di quello che io chiamerei uno dei lati negativi della psicoanalisi, ossia un atteggiamento di pensiero che si accontenta della plausibilità e non cerca l'esperimento, sia esso clinico, sociologico, neuropsicologico, che decida fra due alternative ipotetiche; il che è invece la caratteristi di ogni procedimento scientifico. "Moderno" ci appare quindi, attraverso il pensiero di Pribram, il concetto freudiano di catessi, soprattutto quello esposto nel suo Progetto per una psicologia scientifica e che può includere l'idea di un'attività graduata nel tempo, come quella che attualmente si ritiene esplicata dalle reti dendritiche. Freud, che in un primo tempo non faceva alcuna distinzione teorica fra l'istinto e la sua rappresentanza psichica, ha avanzato in un secondo tempo la tesi che nessun istinto può essere interpretato nel coscienza direttamente, ma solo per mezzo di un'idea che lo rappresenti ("Un istinto non può mai divenire un oggetto di coscienza, lo può divenire solo l'idea che lo ra presenta. Se l'istinto non si associasse ad un'idea o non si manifestasse come uno stato istintivo, n< potremmo conoscere nulla di esso" (978). E in un altro articolo (974) egli afferma: "L'osservazione clini ci obbliga a dividere ciò che finora abbiamo considerato come un'entità singola: poiché essa mostra ci dietro l'idea bisogna tener presente qualche altro elemento che rappresenta l'istinto, e che quest'altro el mento passa attraverso le vicissitudini della repressione, che possono esser ben differenti da quelle attr versate dall'idea. Per quest'altro elemento della rappresentazione psichica è stato adottato il concetto i quantum affettivo.") e di un quantum di affetto ad esso legato. Nel Progetto egli ha ipotizzato certi "sistemi nucleari" (o neuroni psi) che ricevono contributi dai ricetto (o neuroni phi) e dagli istinti. Questi sistemi nucleari sarebbero poi uniti in feedback con neuroni secretori, che con la loro attività secretiva influenzerebbero il contributo degli istinti ai sistemi nucleari. Questi ultimi sarebbero infine in una connessione reciproca con i sistemi corticali (o sistemi W) e con la coscienza. In questa concezione freudiana i processi coscienti, razionali, appaiono legati o in contatto con fattori strutturati sia dalle tensioni istintuali sia dal sistema dei ricettori, mentre la continua catessi del sistema psi provvederebbe ad una continuità d'attività nel tempo. Pribram ha sottolineato la significatività di questo modello per la neuropsicologia nei seguenti termini: l'attività propagata neurale ha nel modello di Freud due aspetti, un aspetto quantitativo (numero di impulsi) e un aspetto qualitativo (configurazioni di impulsi). La propagazione della quantità d'eccitazione provoca modificazioni delle catessi; la trasmissione di qualità no. Le percezioni avvengono quando delle configurazioni di eccitazione sviluppate nei sistemi nucleari e quelle sviluppate nei ricettori vengono paragonate fra loro, ossia quando pensiero e percezione vengono confrontati. Il pensiero cognitivo risulta quando un'incongruenza (risultante dal paragone) sfocia in azioni che o modificano direttamente l'ambiente e così le percezioni, o modificano l'esperienza dell'individuo nel suo ambiente, e così le tracce nei sistemi nucleari da cui si originano i pensieri... Vi dev'essere perciò nella corteccia un meccanismo che permette la distinzione dei prodotti dei sistemi nucleari o dei sistemi proiettivi (sensoriali). E infatti oggi cominciano a venire alla luce delle prove che un siffatto meccanismo esiste e che serve da paragonatore (comparator) che confronta i dati informativi (inputs) per stabilirne la congruenza. 4) Sviluppo della coscienza nei parametri psicoanalitici.. — Le tracce mnemoniche integrate nei parametri della coscienza come immagini allucinatorie degli oggetti (la cui capacità a venire incontro a certi bisogni vitali ha creato le tracce stesse) sono la prima simbolizzazione di questi oggetti. E poiché sembra che il meccanismo essenziale dell'intelletto sia appunto la capacità di manipolare simboli, è possibile porre i processi mnemonici alla base di tutti i processi d'apprendimento e cognitivi. Le immagini degli oggetti sono dapprima presumibilmente diffuse, globali, cioè non delimitate sullo sfondo di una realtà diversa da essi ed egualmente realizzata; ma, gradualmente, esse si differenziano in altre immagini associate, che dei primi segni costituiscono un'ulteriore simbolizzazione. Si creano così delle rappresentazioni degli istinti mutualmente scambievoli che costituiscono ciò che la psicoanalisi chiama l"'organizzazione istintiva della memoria." Un secondo ordine di simboli si struttura in seguito alla capacità di certe immagini di parti degli oggetti a rappresentare il tutto. Siamo finora sempre sul terreno dei cosiddetti processi primari, di tipo relativamente passivo e nei quali le prime difese da oggetti "cattivi," atti a disturbare il soggetto, ad interferire con le soddisfazioni istintuali o a stimolare direttamente quello che in neuropsicologia è stato recentemente descritto da Olds come il sistema avversativo (punishing centers) avviene attraverso dei movimenti psichici di fuga, "ritiro delle catessi," come si dice in psicoanalisi, oppure anche attraverso quei processi di isolamento, spostamento, sostituzione, di cui sono ricchissimi i sogni e di cui sono una premessa quei fenomeni di simbolizzazione o d'astrazione che abbiamo visto nella capacità di parti a rappresentare il tutto. Passiamo adesso al livello dei cosiddetti "processi secondari," nei quali intervengono forme di simbolizzazione più complesse e in cui le difese assumono una dimensione attiva, di "contromanovra" (1953), contro certi tipi di rappresentazione. A questo punto interviene in psicoanalisi una revisione del concetto di simbolismo, che era un tempo considerato come un processo essenzialmente difensivo dell'Io, mentre ora gradualmente si riconosce che delle funzioni simboliche stanno alla base di qualsiasi tipo di funzionamento psichico. Lo studio più sistematico ed esteso del simbolismo nella letteratura psicoanalitica moderna è quello di Kubie che ha riconosciuto il ruolo svolto da esso negli stati psichici normali e patologici, e che in particolare presenta la tesi secondo cui nel processo formativo di ogni concetto esistono due diversi punti di riferimento, uno interno ai confini del proprio corpo (il "me"), e uno esterno al "me." Quello interno è radicato nelle tensioni istintuali e nelle privazioni dell'infanzia e quello esterno è affidato alla percezione di fattori non manipolabili dalla propria volontà. Questo tipo semplice di simbolismo è dapprima, nell'infanzia, cosciente e lo ritroviamo nel linguaggio, nei giochi, nei canti dei bambini. Kubie così si esprime: "Di conseguenza, ogni evolvente concettualizzazione del mondo esterno entra in rapporto con l'evolvente concettualizzazione del mondo corporeo, creando nuove Gestalt concettuali, nelle quali il mondo corporeo e il mondo esterno stabiliscono delle relazioni simboliche, tali che ciascuna può essere usata a rappresentare l'altra". Kubie riconosce da un canto che i processi istintivi e le loro rappresentazioni simboliche nella vita psichica emergono da processi biochimici del corpo («Egli usa il concetto di Adrian secondo cui un impulso afferente può influenzare il cervello sincronizzando in una certa misura le scariche asincrone delle singole cellule, imponendo cosi un pattern ordinato sul movimento previamente caotico. Gli impulsi afferenti facenti parte della configurazione istintiva provengono da organi somatici nei quali i processi biochimici sono stati organizzati sotto l'influenza di deprivazioni, accumulazioni, distensioni"), ma ci dà d'altro canto anche chiari esempi di come i processi simbolici, sia negli uomini sia anche nelle specie subumane, modificano i comportamenti istintivi. È interessante vedere un'analogia fra la polarità dei due punti di riferimento (quello interno e l'altro esterno) di Kubie, la dicotomia vista (indipendentemente da Kubie) da Spitz nell'organizzazione evolutiva della conoscenza umana fra le due categorie del "me" e del "non me," e i due modi percettivi di Whitehead di "efficacia causale" e di "immediatezza presentazionale." Una delle distinzioni fondamentali postulate dalla psicoanalisi all'origine della formazione dell'Io è una distinzione, nell'infante, fra un sé e un non sé. Questa distinzione è intanto legata alla maturazione dei telericettori e della loro funzione discriminativa, già presente nel primo periodo postnatale, come risulta dai dati di Bridger e di Lipton. Ora, i reperti di Spitz parlano per una catessi affettiva del bambino con la madre nella formazione di relazioni oggettuali. Questo è il linguaggio psicoanalitico; ma è anche possibile usare qui schemi neuropsicologici, ricordando da un canto i fenomeni di convergenza intermodale, e dall'altro l'osservazione di molti autori che nell'ambito di certe modalità sensoriali (ad es. la modalità uditiva) una certa percentuale di unità neuronali (10%) entra in azione solo quando alla presentazione dello stimolo si associa l'attenzione dell'animale, cioè un fatto di ordine emotivo, un movimento intenzionale, un interesse. 5) Il concetto psicoanalitico di inibizione. — La moderna neurofisiologia ha dimostrato l'esistenza di neuroni a funzione inibitoria. La loro eccitazione, se contemporanea a quella della struttura inibita, provoca in quest'ultima la scomparsa del normale potenziale d'azione. In seguito all'inibizione, il potenziale di membrana non raggiunge il valore soglia necessario alla scarica del potenziale d'azione, che così viene inibito. I neuroni a funzione inibitoria hanno una fondamentale azione di controllo sulle strutture nervose sottostanti, che, liberate dalla regolazione delle strutture superiori, agiscono globalmente. Diviene inpossibile la modulazione graduata, l'adattamento differenziale a situazioni di diversa sfumatura; mentre l'attività da stimolazione periferica delle strutture altrimenti sotto controllo provoca un aumento uniforme del loro livello energetico (un esempio del genere è la rigidità muscolare che si verifica, a distanza di settimane, in seguito ad ima lesione del sistema piramidale). Queste dimostrazioni rendono verosimile l'ipotesi avanzata da Freud sull'esistenza di diversi livelli nel campo psichico. In sostanza, Freud suppone che il primo sistema psichico, caratterizzato dalla qualità cosciente dei suoi processi, esplichi un'azione di controllo e inibitoria sul secondo sistema, che raccoglie i processi psichici non illuminati dall'attenzione, non integrati nella coscienza dell'Io, immediatamente sottoposti alle tensioni biologiche e tendenti alla loro immediata distensione.. Egli afferma: "I meccanismi di questi processi mi sono interamente sconosciuti; chiunque voglia seriamente continuare sulla via di queste ipotesi deve indirizzarsi ad analogie fisiche e trovare un qualche modo di rappresentare la sequenza di movimenti che segue l'eccitazione dei neuroni. Io qui non faccio altro che tener ferma l'idea che l'attività del primo sistema tende alla libera dispersione di quantità di eccitazione (principio del piacere) e che il secondo sistema, mediante catessi emananti da esso, effettua l'inibizione di questa dispersione (dilazione.)". 6) Il concetto di Io. — Nell'Interpretazione dei sogni Freud affermava che la coscienza, perduta la potenza prima assegnatale, altro non è che un organo sensoriale che permette la percezione di qualità psichiche ("ein Sinnesorgan zur Wahrnehmung von psychischen Qualitäten"). Questo concetto, via via ripreso nelle pubblicazioni successive, di un apparato psichico funzionante sotto l'influsso delle percezioni esterne e dei processi istintivi e privo quindi di una vera autonomia (Questa "detronizzazione" della coscienza e dell'Io, caratteristica della prima psicoanalisi, ha una motivazione storico-sociologica: tutta la prima opera di Freud è fondata sulla scoperta dell'inconscio e contiene una dimensione polemica contro una tradizione filosofica che nella libertà umana, nei valori morali, nell'Io cosciente vede l'essenza ultima e irriducibile dell'uomo. Oggi non vediamo più un'alternativa, ma » una dialettica) è un Leitmotiv di tutta l'opera freudiana, anche se naturalmente, nel corso dei decenni, è innegabile un'evoluzione di pensiero nell'iniziatore della psicoanalisi. La coscienza è per Freud soprattutto un apparato di protezione e di selezione per gli stimoli provenienti dal mondo esterno. Poiché questo entra in contatto con la superficie dell'organismo, la coscienza viene considerata in vari scritti (Al di là del principio del piacere; l'Io e l'Es) come quella porzione più superficiale dell'Es, che si va costituendo nel contatto di quest'ultimo con il mondo esterno, strutturata secondo il "pricipio di realtà." Questo concetto topologico di coscienza, corrispondente allo sforzo di Freud di dare una rappresentazione spaziale dell'apparato psichico, veniva sottolineato dal postulato per cui la corteccia cerebrale è la sede dei fenomeni di coscienza. Interrompiamo qui per un momento l'esposizione del pensiero freudiano per osservare come il suo concetto topologico di "superficie" di coscienza (che Freud intendeva in senso spaziale concreto) oggi non è più tenibile, dopo quanto sappiamo sul sistema centroencefalico di Penfield, sul sistema reticolare, sui circuiti riverberanti che uniscono la corteccia al talamo, sulla partecipazione essenziale, delle strutture sottocorticali ai fenomeni di coscienza. Ritornando a Freud, si deve qui vedere come dalla coscienza ancora rudimentale dei primi atti di vita si va sviluppando l'Io. Mentre Piaget vede il fatto essenziale in un'integrazione progressiva dei vari schemi percettivi (che permette anche un'integrazione dell'universo e l'obiettivazione di sé in questo universo) per Freud (Psicologia di massa e analisi dell'Io) sono essenziali i seguenti processi: a) Il bambino sviluppa anzitutto un attaccamento affettivo all'oggetto esterno rappresentato dall'istanza parentale. b) Il bambino raggiunge una relativa indipendenza dall'oggetto allorché la libido, in seguito ad una sostituzione regressiva, viene investita in una rappresentazione di questo oggetto; ossia in un'immagine interna, che corrisponde all'introiezione dell'oggetto. Tale introiezione introduce come uno spettatore o un censore nel soggetto, che così divide quest'ultimo onde costituirlo (struttura antinomica dell'Io, Ey). L'immagine introiettata è l'erede del narcisismo originario; come questo vale nei riguardi di sé come oggetto privilegiato e nei riguardi dell'oggetto esterno capace di soddisfare i bisogni istintivi, così esso investe anche l'immagine introiettata, che diviene l'ideale dell'Io (Ich Ideal). Si costituisce quindi un Io che è, da un canto, il rappresentante dell'influenza del mondo esterno sentito e percepito e che, dall'altro, riceve la sua energia dagl'impulsi dell'Es. Ciò che vogliamo sottolineare in questo sviluppo di pensiero è il concetto, sempre ripetentesi nei vari scritti di Freud, di un Io che trae la sua energia dall'Es, di cui non è che una specializzazione, ma che deve contemporaneamente accordare le richieste di questo Es sia con il mondo della realtà (la cui percezione è appunto funzione dell'Io) sia con il mondo di valori (introdotti nell'Io con l'introiezione dell'immagine parentale e agente da Superio). A questo Io come essere cosciente viene negata un'autonomia (Nuove lezioni introduttive)-, esso è piuttosto una povera cosa," la ragione stessa dell'ansia che nasce nel confronto con esigenze degli istinti, del Superio e della realtà. Se è vero che a questo punto Freud, con una delle sue geniali intuizioni, cambia totalmente rotta nel suo detronizzamento concettuale dell'Io e dà, con la sua famosa frase "Dove c'era l'Es deve subentrare l'Io" proprio a quest'istanza ansiogena e dipendente il compito massimo dell'individuazione, è anche vero che a questo punto si innestano le correnti psicoanalitiche moderne. Per esse, l'Io non è più un'emanazione dell'Es né un sistema di difesa (contro le richieste delle varie istanze percepite o introiettate); esso esiste fin dalla nascita, ha un'autonomia primaria, proviene da una matrice originaria che si differenzia nell'Io e nell'Es.. Questa svolta fondamentale della speculazione mi sembra che rappresenti un punto di convergenza: a) di movimenti di sviluppo autoctoni della psicoanalisi stessa; b) di tutte quelle numerose correnti di pensiero, che si rifanno ai nomi di Jung, Binswanger, Sullivan, etc. e che, pur estranee alla psicoanalisi, traggono da questa un'ispirazione fondamentale e vanno tutte, per sentieri diversi, verso il riconoscimento dell'autonomia della persona nei riguardi del mondo istintuale; e) di varie correnti neuropsicologiche, che, con la valorizzazione dell'apprendimento nella struttura istintuale, con la critica al concetto di coscienza come superficie dell'Es (Projektion einer Oberfläche) e con un maggior accento sulla struttura intrasistemica nei confronti dei rapporti intersistemici, rendono sempre meno sostenibile la tesi psicoanalitica classica. A questo proposito vorrei fare un raffronto fra il pensiero dello psicoanalista moderno Lagache (che scrive: "Molti malintesi e molte oscurità si possono ricondurre al fatto che non siamo abituati a considerare l'Io dal punto di vista intrasistematico. Si parla dell'Io come... se realizzasse dei fattori d'integrazione, mentre queste sono solo caratteristiche dell'una o dell'altra delle sue funzioni") e un aspetto della ricerca neuropsicologica che vede la funzione non più soprattutto come il modo in cui una struttura si pone in rapporto con un'altra, ma che la vede strutturantesi essa stessa nel rapporto. 7) Possibilità di dialogo. — La scienza psicoanalitica non ha mai perduto di vista Ta complessità del comportamento umano ed ha sempre, implicitamente o esplicitamente, qualcosa da dire sui vari aspetti di questo comportamento e le sue proprietà funzionali. Ai suoi reperti comportamentali è stato spesso rivolta l'obiezione che essi non sono sufficientemente volti al futuro, che rimangono esplicativi solo nei riguardi del passato, senza poter dedurre da esso, con una probabilità significativa, il futuro, come ci si dovrebbe attendere da esplicazioni causali, che non restino cioè semplici descrizioni fenomeniche. Quest'obiezione, di cui un'esempio è l'osservazione di Dement secondo cui la psicoanalisi non riesce a spiegare perché, nell'espressione di uno stato d'animo, vengono scelte certe immagini oniriche anziché altre egualmente possibili, non tiene conto del numero straordinario di variabili di cui è composto il comportamento umano, e la cui possibile indagine rimane per ora parziale. Inoltre, molte delle spiegazioni genetiche della psicoanalisi rientrano nella categoria di modelli; e i modelli da un punto di vista logico non possono essere predittivi. Rimane però il fatto che fenomeni descritti un tempo solo sul livello comportamentale o soggettivo, mostrano oggi delle componenti investigabili dal punto di vista neuropsicologico, situazione questa che, se giustamente afferrata, non dovrebbe mancare di incrementare il dialogo fra le due discipline. Il seguente paragone può illustrare in che modo la neurologia della vita mentale si è psicologizzata, ossia si è avvicinata alla psicologia: un tempo essa si limitava a cercare anatomicamente i centri della fame e della sete nel sistema nervoso; attualmente non si cerca solo di analizzare mediante le lesioni differenziali le varie componenti di tale comportamento orale (v. l'osservazione che le lesioni specifiche modificano la sensibilità dell'animale a determinate categorie di stimoli), ma si trova anche che il tipo di cibo, i fattori neurali centrali e l'esperienza precedente (nel senso dell'apprendimento) concorrono insieme a strutturare un tipo di comportamento. La psicoanalisi studia come ad ogni livello di sviluppo della personalità (ad es. al livello orale, per rimanere nel paragone) la maturazione di vari sistemi (ad es. del sistema di locomozione) interagisce con il rapporto fra madre e figlio, crea nuovi compiti, ansia, nuovi sviluppi, differenziazioni, integrazioni; si sviluppa il linguaggio, intervengono le modificazioni adolescenziali e si determinano riorganizzazioni dell'intero ambito comportamentale. Un altro esempio riguarda gli stretti rapporti fra oralità e sessualità, che trovano un riscontro nella osservazione che in varie regioni rostrali del cervello limbico, in particolare nell'amigdala (Klüver e Bucy), nel septum nel lobo piriforme, nel giro cingolato, ma anche nell'ipotalamo anteriore i circuiti e i meccanismi orali e sessuali si intersecano così intimamente che le modificazioni del comportamento orale e sessuale appaiono spesso contemporaneamente sia nel corso di parziali ablazioni chirurgiche, sia in quello di stimolazioni puntiformi elettrofisiologiche. Non ci dilunghiamo su questo problema, il cui livello morfologico è già stato sufficientemente trattato nei capitoli sulle rispettive strutture cerebrali, e la cui parte psicoanalitica richiederebbe, da sola, un'intera trattazione. Il rapporto fra emozioni (definite sul piano comportamentale) e corrispondenti modificazioni somatiche è stato studiato in psicoanalisi. Tale studio ha degli addentellati con la ricerca neurologica sui rapporti fra emozioni e strutture cerebrali. Come esempio di questi studi valga la comunicazione recente di un autore russo, Smirnov, cui è riuscito il doppio esperimento d ottenere determinate emozioni mediante la stimolazione elettrica di certe strutture cerebrali e di registrare poi in queste strutture un'attività simile ir seguito alla presentazione di tavole di Rorschach o di pitture e discors significativi. Un paragone fra i due ordini di reperti mostra un massimo d variazioni di potenziali nelle medesime strutture nervose (certi nuclei talamici regione subtalamica, ippocampo, tegmento). Non solo; l'intensità delle emozioni misurata per intensità e qualità (piacevole o spiacevole) sul piano dell'espe rienza soggettiva, è correlata con l'estensione e la polarità delle variazion elettriche. c) La ricerca onirica Trattiamo brevemente a parte questo punto, non perché di natura sostanzialmente diversa dagli argomenti precedenti, ma perché oggi forse sembra che non converga in nessuna zona come in questa la coscienza di un'unità della ricerca psichica in tanti ricercatori di diverso orientamento ed interesse. Abbiamo già discusso taluni problemi che riguardano questo argomenti nel paragrafo dedicato al sogno; ci limiteremo quindi a trattare l'argomenti da un punto di vista generale. I fenomeni quasi psicotici che seguono alcuni giorni di deprivazione dei sogni possono essere interpretati nel senso che esiste nel complesso ipnico una fase biologica particolarmente essenziale alla vita, quella onirica. L'individuo mostra una sensibilità particolare alla lesione di questo suo aspetto della vita psicologica. Progredendo le ricerche, arriveremo un giorno ad afferrare ancor meglio i motivi di questo fenomeno e a precisare, ad esempio quale tipo di attività enzimatica o quale tipo d'integrazione neurofisiologica venga disturbato selettivamente. Tutto ciò non esclude la possibilità di interpretare il fenomeno su di un altro livello, che non toglie affatto validità al primo. Se infatti riflettiamo un momento sull'importanza data quasi da un secolo questa parte dalla psicoanalisi ai sogni (essa è sorta si può dire dalla loro meditazione sistematica ed ha sostenuto la tesi della loro validità in un'epoca in cui, prima dell'avvento della moderna neuropsicologia, il sogno veniva relegato nell'ambito dei fatti quotidiani non spiegabili scientificamente) vediamo come le attuali ricerche che mostrano l'importanza dei sogni vadano in una direzion ben precisa: quella della vita incosciente psichica. La psicopatologia evocata dalla deprivazione onirica ci appare allora né più né meno che come l'impossibilità dell'uomo di esistere senza il suo inconscio, o più esattamente, senza quelle manifestazioni oniriche che rappresentano una manifestazione I dell'inconscio. Lo stabilirsi di tracce mnemoniche e la formazione di simboli costituiscono una delle attività principali della coscienza. Tale tipo di attività permette la vita ad un organismo altamente differenziato; solo attraverso la deposizione e la riverberazione di tracce mnemoniche si crea un passato; solo attraverso i processi d'anticipazione si rende possibile un futuro; solo in un continuo paragone di una nuova traccia con quella passata avviene l'apprendimento; solo attraverso tale apprendimento, nonché attraverso l'abbreviazione simbolica delle operazioni interpersonali e oggettuali, il soggetto stabilisce rapporti con i suoi simili. Questo mondo della veglia è impostato, come dice Freud, sul "principio di realtà," cioè su un sistema di attività neurale che richiede un'alta discriminazione spaziotemporale, un continuo posponimento di soddisfazioni istintuali, e un processo di simbolizzazione strutturato intorno alle leggi della causalità, della logica, della identità della persona. Vediamo ora quale genere di attività psichica ha luogo durante il sogno. Essa corrisponde intanto anche all'attività di sistemi della personalità che altrimenti non si esprimono sul piano della realtà. Inoltre nel sogno hanno luogo, sul piano del simbolismo onirico, ripetizioni di sequenze simboliche altrimenti non ripetibili. Un aspetto del sogno equivale alla ripetizione dei movimenti psichici coscienti o incoscienti della veglia e alla loro più varia elaborazione. Attraverso tali ripetizioni certi movimenti psichici vengono portati ad un certo grado di realizzazione simbolica. Un altro aspetto del sogno consiste nell'inquadramento di certi eventi psichici entro tracce mnemoniche affini, attraverso vari processi di condensazione, contaminazione, abbreviazione allegorica, che sono tanto più possibili in quanto il tipo arcaico di simbolismo onirico non è soggetto alle strutture spaziotemporali, alle leggi della logica, etc. che permettono le discriminazioni più alte del sistema nervoso. Una funzione del sogno, che risulta dalle due precedenti, è la realizzazione di tipo allucinatorio di tendenze emotive senza il posponimento che è proprio del principio di realtà. Un ulteriore aspetto del sogno risulta probabilmente dal fatto che il fenomeno percettivo contiene molto spesso delle componenti emotive, che fan parte della percezione stessa. Tali componenti talora non raggiungono un livello di sufficiente coscientizzazione. Sembra che tale livello sia necessario per numerosi processi d'integrazione. Riassumendo possiamo dire che la vita sveglia almeno nell'uomo, ma forse anche nell'animale, impone all'organismo un grado di specializzazione e quindi di limitazione di potenzialità psichiche, un apprendimento su un alto piano simbolico che non permette sempre una coscientizzazione sufficiente delle componenti emotive, un posponimento delle soddisfazioni emotive. Il sogno può allora essere visto, invece che come una semplice fase di restauro e di riposo, come una fase attiva complementare. Tra il livello simbolico "obiettivo" spaziotemporale della veglia e quello paleosimbolico del sogno potrebbe esistere un rapporto di complementarità. Non è escluso che a questo livello paleosimbolico siano possibili certi tipi di operazioni impossibili all'alto livello simbolico corrispondente al principio di realtà; il fatto, provato ormai da innumerevoli osservazioni, che esistono sogni profetici, ci fa pensare alla possibilità che ad corrisponda un tipo di percezione poco strutturata sulle categorie spazio-tempo che sono invece necessarie a tutti i fenomeni della veglia. In tali tipi di sogno gli eventi distanti nel tempo e nello spazio possono essere percepiti secondo modalità che attualmente non possiamo descrivere altrimenti che sotto il termine di "extrasensoriali." (Questo concetto di percezione extrasensoriale si ripropone spesso alla neuropsicologia, perché risulta da un insieme di fatti altrimenti non spiegabili. Ma non è stato sottolineato il fatto che tale categoria di eventi sembra sia accessibile ad un particolare sistema psichico, che per ora non possiamo descrivere più adeguatamente che con la connotazione di inconscio, orientato in senso polare ai fenomeni della veglia.) Naturalmente tali riflessioni potranno apparire al neurofisiologo solo un un insieme di parole, dato che egli è abituato al continuo, decisivo paragone di una teoria con un dato sperimentale che la provi o la refuti. Tuttavia uno dei progressi principali della neuropsicologia consiste nella progressiva verificabilità di certe descrizioni fenomenologiche e nella loro utilità a suggerire determinati tipi di esperimenti. Anche la dimostrazione di correlazioni è un criterio di validazione. Rimane da risolvere quindi il problema di come saranno in futuro afferrabili neuropsicologicamente quei fenomeni che per ora delimitiamo sul piano psicodinamico. Il fatto che il sogno non faccia parte semplicemente dei processi di ricostruzione metabolica che durante il sonno avvengono a livello delle strutture cerebrali, ma che sia necessario ipotizzarlo come l'attività complementare di un sistema inconscio a quella del sistema della coscienza, sfugge all'attenzione del ricercatore che non sia sufficientemente preparato a valutare l'importanza simbolica del sogno per l'elaborazione della personalità umana. La precisazione di questo punto può essere interessante per la direzione di future ricerche in questo campo. A sua volta lo psicoanalista trova la spiegazione fisiologica di fenomeni da lui già descritti su un piano psicodinamico; ma naturalmente, egli non può mai attendersi dalla neuropsicologia la definizione del valore semantici di un dato sogno, che rimane un atto psichico contenente in sé una "valutazione," un elemento di valore che implica una decisione e non un'osservazione nei suoi confronti. La visualizzazione di questi diversi livelli di operazioni mentali non è meno importante della visualizzazione dei fattori che permettono una "coalescenza," secondo l'espressione di Lashley, fra le diverse discipline IV) Psicodinamica e neurodinamica Ciò che, tramite la neuropsicologia, avvicina oggi due discipline di per sé assai diverse, lo studio del sistema nervoso o neurologico e lo studio dell'uomo o psicoanalisi, è il carattere dinamico dei modelli in cui vanno collocati oggi i reperti ottenuti nell'investigazione delle funzioni nervose superiori. Esaminiamo brevemente questo carattere dinamico in alcuni punti essenziali: a) Alla base dell'apprendimento sta oggi un dinamismo affettivo istintivo, che ci mostra come i fenomeni nervosi come il condizionamento, le attivazioni sottocorticali e la trasmissione di messaggi dipendano dalla situazione del soggetto, dalla sua motivazione e dal suo tono emotivo. Nel corso dell'opera abbiamo dato molti esempi di questi rapporti; abbiamo visto come perfino potenziali evocati da uno stimolo visivo dipendono nella loro forma dall'interesse del soggetto per questo stimolo. È appunto il soggetto, questo quid inesistente in uno studio obiettivo del sistema nervoso, e che già alcuni decenni orsono Weizsäcker aveva tentato, sulla base di osservazioni macrofenomenologiche, di "introdurre nella medicina", che oggi s'impone alla nostra attenzione; a tal punto che Ey non esita a interpretare "la nozione del potere di scelta e di creazione delle strutture nervose" come il dato fondamentale che la neurofisiologia offre alla psichiatria. ("Lungi dall'esser legati alla concatenazione dei riflessi, i fenomeni nervosi costituiscono con la loro selezione e la loro plasticità una costante possibilità di autocostruzione e di adattamento. Essi sono di tale natura, che la neurofisiologia dinamica erede di Jackson (ma purgata dal suo parallelismo) e illustrata da opere fondamentali come quelle di Goldstein, di v. Monakow, di V. Weizsäcker e, in un certo senso, anche quella di Freud, invece di escludere il soggetto lo pone al centro stesso dell'intenzionalità e della motivazione di tutti i processi nervosi".) b) I concetti di plasticità, di modulazione, di autoregolazione, di campi d'influenza, di strutture nodali, di "punti di decisione," di risposte graduate (tanto per citarne alcuni che continuamente si ripetono nel corso di quest'opera), sorti sia dallo studio microfisiologico del neurone sia da quello delle sinapsi sia anche da quello della funzione regolatrice del reticolo tronco- encefalico o del sistema limbico, etc., ci fanno apparire il sistema nervoso come qualcosa in continuo movimento, in sviluppo funzionale e micronatomico, un punto di convergenza fra neurofisiologica, etologia, psicologia comparata, in cui si va elaborando la struttura motivazionale non solo della specie, ma anche dell'individuo, con la sua esperienza individuale. Ey, esaminando queste configurazioni di connessioni anatomofunzionali, che si avvicinano più a formule logico-matematiche che agli antichi schemi morfologici, parla addirittura di "insiemi transanatomici" in accordo su questo punto con contemporanei come Lorente de No, von Bonin, McCulloch, Pitts, D.A. Sholl. E, inoltre, viene qui introdotto il concetto di un "isomorfismo" fra coscienza e cervello e quindi fra dinamismo psichico e struttura della materia nel suo settore cerbrale: " Il cervello è esso stesso un organismo, una struttura dinamica... che non cessa di costruire ad ogni istante il suo mondo. Poiché esso non costituisce semplicemente un meccanismo, ma, come aveva detto Bergson, l'organo stesso dell'indeterminazione, proprio per questo motivo l'isomorfismo complementare del campo della coscienza e dell'organizzazione del cervello (R. Ruyter) può cessare di essere uno scandalo logico e morale." E ancora: "Ma questo cervello è innanzitutto un organismo che svolge e definisce il suo proprio tempo. Al contrario del cuore, che è un metronomo del tempo matematico il cui movimento non costituisce una temporalità Ubera, il cervello è l'organo della sua stessa temporalità. E a questa relatività del tempo vissuto è sospeso lo spazio che esso si è creato come presentazione e rappresentazione". c) Un concetto nuovo, ma che è stato attualmente molto sviluppato, è quello di "verticalità funzionale" che si è sostituito a quello più statico di suddivisione in ricettori, effettori, e che ci mostra, per esempio, come l'attività degli organi sensoriali periferici continua lungo vari relais la funzione della corteccia, e da questa viene regolata in modo tale che la periferia non offre solo il materiale grezzo, su cui poi si innestano processi del tutto diversi, ma partecipa essenzialmente alla strutturazione dei processi centralij venendone là questi modulata. Ora, questo concetto ci richiama da un canto l'indagine neurologica precedente; ma non va anche d'accordo con il fulcro stesso della medicina psicosomatica? E tutta la concezione freudiana di una catessi libidica della periferia, per cui i processi intrapsichici vengono analizzati fin nella struttura funzionale delle zone periferiche, purificata da schemi biologici ormai superati, accorda tuttavia a questa tesi moderna della strutturazione della forma psichi attraverso la periferia e già nella periferia. d) Vi è una polarità della coscienza, un intersecarsi di diversi livelli e meccanismi, nota nella straordinaria complessità dei fenomeni di coscienza studiati dalla psichiatria, ma che inizia probabilmente già nell'animale; vi è il dato, sempre più chiaro, che non esiste una semplice alternativa tra veglia sonno, e neppure tra conscio e inconscio, ma tutta una serie graduata da diversi stati di coscienza, ossia di diverse integrazioni di esperienza, per usare l'espressione di Fessard, o di diverse organizzazioni spaziotemporaìi del campo del vissuto, secondo la terminologia di Ey. La polarità, la multidimensionalità, la polivalenza della coscienza è, naturalmente, un reperto psicodinamico, ma è interessante accostare a questo livello quello in cui meccanismi della coscienza vengono studiati obiettivamente, neurofisiologicamente. Non che qui si voglia anche lontanamente tentare di tradurre ciò che avviene a un livello su di un altro; ci sembra solo possibile vedere come una concezione dinamica intervenga a strutturare anche il livello neurologico. La polarità della coscienza viene riflessa nelle polarità funzionali della sostanza reticolare, che appare oggi nella sua costituzione più complessa di quindici anni or sono. Ricordiamo brevemente queste polarità: 1) La contrapposizione, avanzata nel 1951 da Sharpless e Jasper, di un sistema reticolare rostrale, o talamico, più propriamente fasico e modulatore, differenziato nella sua azione sulla corteccia, con la formazione reticolare rombo-mesencefalica, capace di un'attività tonica dinamogena diffusa. 2) La contrapposizione di questa funzione nella colonna reticolare con una banda d'inibizione (Moruzzi, Batini, Palestrini, Rossi, Zanchetti) ad azione sincronizzante sulla corteccia, come hanno dimostrato nel 1959 Cordeau e Mancia mediante delle emisezioni pretrigeminali nel gatto (sincronizzazione dell'emisfero contralaterale). Ey a questo proposito osserva che la vicinanza di questi sistemi nello spazio esprime una dialettica nel tempo, in un cervello capace di modulare la sua organizzazione sull'intenzionalità, cosciente o incosciente del soggetto. 3) La contrapposizione di un'attivazione dal basso (per cui il sistema attivante viene a sua volta attivato dai messaggi sensoriali (French, Hernandez-Peón, Livingston, Bremer, Segundo, Naquet, Buser) con un'attivazione dall'alto da parte della corteccia (Bremer, Stoupel, Dumont, Dell, dinamogenesi corticale). 4) Il processo di sveglia è stato definito come un fenomeno di desincronizzazione (Adrian), di eccitazione corticale. Ma d'altro canto si è parlato anche di un meccanismo d'inibizione corticale (Berger); e in realtà la reazione di sveglia comporta un blocco di scariche delle cellule piramidili (Moruzzi e Magoun, Wittock, Arduini), dei fusi e di altre modalità di potnziali lenti influenzati dalla porzione talamica (Brookhard e Zanchetti). Durante la sveglia è stata osservata una diminuzione delle risposte corticali localizzate, un blocco di risposte alla stimolazione ripetitiva dei nuclei talamici non specifici 5) Abbiamo da un canto la reazione di sveglia diffusa; ma dall'altro quella di una sveglia localizzata a regioni della corteccia per attività di stimoli sensoriali, come, durante il sonno, quando gli impulsi specifici producono un effetto parziale di sveglia (Adrian, Rossi). Il sistema dendritico della corteccia mostra, come è stato stabilito mediante elettrocorticogrammi, delle variazioni graduate di potenziale sinaptico di superficie. 6) Sicura è la propagazione di impulsi nervosi nel processo di sveglia. Ma Ingvar ha dimostrato che esiste nella corteccia isolata una reazione di sveglia provocata da modificazioni dell'ambiente interno, indotte dal circolo. Diversi autori insistono sul fatto che l'attività elettrica dell'ippocampo è inversa a quella della corteccia (Green e Arduini), caratterizzata da ima serie di onde lente (3-6 c/sec) sincrone, di grande ampiezza, che in animali attenti corrispondono ad un elettrocorticogramma di attivazione, con il suo voltaggio basso e rapido. Qui si parla anche di un effetto "schizofisiologico" che i medesimi stimoli reticolari provocano dividendosi fra quelli diretti alla corteccia e quelli che seguono la via del fornice dorsale e del setto. (Tutti i nuclei talamici proiettano, secondo Mac Keghey sul rinencefalo.) Rimane ancora dubbio il significato di questa dicotomia elettrofisiologica; citiamo soltanto l'ipotesi di Green e Arduini secondo cui la sveglia mette in moto, attraverso il sistema limbico, dei meccanismi emotivi di risonanza affettiva. 7) Oggi non ci appare più esatta né l'una né l'altra delle due alternative "classiche," né quella di rappresentarsi il cervello come un mosaico di funzioni in parte isolate (come sembrava forse giustificato da precedenti studi anatomo-funzionali, che tendevano a isolare le singole strutture e funzioni) poiché viceversa attualmente tutto parla per l'esistenza di lunghi circuiti e riverberazioni lungo gli assi verticali e orizzontali dell'intero sistema nervoso; ma ci pare che non si possa neanche escludere l'importanza delle parti e vedere in ogni fenomeno di coscienza sempre la presenza di una totalità globale, poiché al contrario l'intera neurofisiologia da un canto, e la neurochirurgia dall'altro, ci mostrano sia la straordinaria complessità dei fenomeni nervosi superiori (non annacquabile nel concetto amorfo di globalità), sia le sorprendenti capacità vicarianti delle singole strutture rimaste indenni. Ambedue le alternative vengono oggi superate con i concetti d'integrazione, di struttura funzionale, di pattern di organizzazione, etc. che, da un canto, ci fanno comprendere come nessuna funzione è isolata dal tutto, nessuna sta a sé come la pietra di un mosaico, nessuna è indipendente da una convergenza polisensoriale che la costituisce, da un elemento motorio che ne garantisce la spazialità, da relazioni con le altre che ne assicurano la temporalità; ma che, d'altro canto, non ci soddisfano con vaghi termini come azione di massa, totalità dell'essere vivente etc., mentre al contrario ci mostrano che esiste questa totalità soltanto nella sua estrema differenziazione, limitazione reciproca e dettaglio configurativo. Non solo, ma questa complessa integrazione ci mostra come ogni funzione, e prima fra tutte la coscienza, non è data una volta per sempre, ma ha, come dice Ey, una dimensione facoltativa, va da un più ad un meno, è suscettibile di aumentare o di diminuire la sua presa sulla realtà. In particolare, nello studio veglia sonno, è tutta una gamma di diversi livelli funzionali che oggi si va sempre più delineando, ma non più, come un tempo, solo sul piano comportamentale, bensì anche su quello neuropsicologico ed elettrofisiologico. 8) Come giustamente osserva Ey (825), dagli studi classici, behavioristi sull'apprendimento scaturisce la concezione empirica dell'intelligenza secondo la quale quest'ultima è fondata su un potere di discriminazione e d'adattamento. Questo concetto, che costituisce l'ispirazione di tutte le concezioni e sperimentazioni delle scuole anglosassoni di Thorndike, Hull, Kinner, Spence, etc. e che risiede in un'interpretazione "connessionista" e "condizionalista" dell'atto intellettuale, è nato tuttavia attraverso lo studio della psicologia animale, e neanche della psicologia dei primati, ma soprattutto di mammiferi quali i ratti, i gatti, i cani. È giusto vedere l'intelligenza dei primati e dell'uomo solamente come un'ulteriore complicazione dell'intelligenza animale di siffatto livello? Non è più giusto sospettare qui strutture intellettuali con un piano d'organizzazione loro proprio, svolgentesi cioè su livelli tutt'affatto diversi, che dai primi si discostano cioè non solo in senso quantitativo, per un diverso grado di complessità, ma anche in senso qualitativo, per l'emergenza di nuovi meccanismi, attualmente oscuri da un punto di vista neurofisiologico, appunto perché in sé racchiudenti leggi del tutto diverse da quelle finora studiate? (II cervello sveglio è definito da Ey come il cervello "polarizzato verso la realtà," o "aperto a suo mondo"; e sembra che la maggiore caratteristica funzionale di questo stato risieda in un'architettur di organizzazioni che implica un grado massimo di variazioni, une infinité de possibilities.) Non è proprio caratteristica di tutta la filosofia positivista che ha strutturato la ricerca scientifica degli ultimi cent'anni la tendenza a voler riportare le attività più spirituali a dimensioni materiali relativamente grossolane? E non era forse in vigore, fino a soli pochi decenni orsono, una concezione essenzialmente reflessologica dei rapporti del sistema nervoso con il suo ambiente? Soltanto più recentemente, da Hebb in poi, ci si preoccupa di non confondere questo apprendimento primario, caratterizzato dall'automatismo e dalla rapidità di acquisizione, con fenomeni più complessi già presenti nelle scimmie (d'insight, di pensiero creativo, di identificazione psicologica e perfino morale con i propri simili) che ho altrove descritti in quest'opera e che non sapremmo davvero spiegare con gli schemi classici dell'apprendimento. Non hanno torto quindi, mi sembra, quegli psicoanalisti moderni che, come Spitz, pur riconoscendo l'enorme apporto dato dall'odierna neurofisiologia allo studio della coscienza umana, sottolineano la presenza di fenomeni, che attualmente non possiamo afferrare (senza tradirli positivisticamente) che descrivendoli sul piano in cui ci si presentano: su quello fenomenologico della comunicazione sociale,
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